Italia

Prodi ai giovani del Campo internazionale: ecco come cambia il mondo

di Claudio Turrini

“Nell’agosto del 2007 quando qui a La Vela dissi che era necessario dialogare con tutti, anche con Hamas, ci furono tante polemiche sui giornali italiani. Oggi che lo dice Obama nessuno si scandalizza più”. Sono passati due anni e Romano Prodi non è più presidente del Consiglio, ma sceglie i giovani del Campo internazionale, organizzato dall’Opera per la Gioventù Giorgio La Pira e da altre realtà italiane ed estere, al Villaggio La Vela di Castiglion della Pescaia (dal 10 al 19 agosto, sul tema “Libertà e partecipazione, il sentiero della giustizia”), per togliersi qualche “sassolino” dalle scarpe, parlando della situazione mondiale e lasciandosi interrogare a tutto campo per quasi due ore. Davanti ad oltre 120 giovani provenienti oltre che dall’Italia, anche dalla Russia (sia ortodossi che cattolici), da Israele e dalla Palestina (sia ebrei che cristiani e musulmani) e anche da alcuni paesi dell’Africa, martedì 18 agosto Romano Prodi ha raccontato dei suoi tanti incontri avuti in questi due anni in giro per il mondo, anche a seguito dell’incarico ricevuto dal segretario generale dell’Onu di studiare le situazioni di peacekeeping in Africa.

L’ex presidente del Consiglio parte con una constatazione. La guerra in Iraq, che divise pesantemente l’Europa quando lui era presidente della Commissione europea, costituisce “uno spartiacque della politica mondiale”: è infatti fallito il tentativo dell’amministrazione Bush di risolvere unilateralmente i problemi. Oggi sullo scenario, accanto agli Usa – spiega – ci sono dei nuovi attori, il cosiddetto “BRIC”: Brasile, Russia, India e Cina. A decidere delle sorti del pianeta non è più un miliardo e trecentomila abitanti della terra, ma sono quasi 4 miliardi di persone. Tra gli attori della politica internazionale mancano ancora l’Europa e l’Africa, seppure per motivi diversi. La prima, che è pur sempre la prima potenza economica, il più grande esportatore, ancora non esiste politicamente. Anche l’Africa, a causa delle sue divisioni, è oggetto di politica piuttosto che soggetto. Eppure è un continente molto interessante, uno dei principali campi nello scacchiere mondiale, sul quale sta operando con lungimiranza la Cina, la quale – per la prima volta nella storia mondiale – esporta capitali, tecnologia e insieme anche manodopera.

Le domande dei giovani hanno spaziato su tanti problemi. Dalla crisi tra Russia e Georgia, a proposito della quale ha ricordato la sua opposizione da primo ministro all’ingresso del paese caucasico nella Nato, e ad ogni tentativo di “accerchiamento” militare della Russia, ai rapporti tra Cina e Taiwan, al futuro dell’”welfare” che per Prodi è stata la più grande conquista del XX secolo che deve essere non solo mantenuta, ma anche rafforzata, al futuro dell’Albania (“all’interno dell’Ue come tutti i paesi dell’ex-Jugoslavia”) fino alle novità portate dall’elezione di Barak Obama. A questo proposito Prodi ha sottolineato come il linguaggio usato dall’amministrazione Usa sia oggi radicalmente cambiato e ci siano stati anche dei segnali importanti (come il pagamento dei debiti verso l’Onu), ma come ancora alle promesse non siano seguiti fatti concreti, pur riconoscendo che per cambiamenti profondi occorre sempre del tempo. Ha anche osservato come sfortunatamente, quando lui è stato primo ministro, si è dovuto confrontare con un’amministrazione Bush che aveva obiettivi divergenti. Oggi con Obama tante cose sarebbero state più facili anche per la politica italiana.

Una giovane palestinese gli ha chiesto quando arriverà il giorno dell’indipendenza della Palestina. “Sono un professore e non un profeta” ha subito commentato Prodi, ma poi non si è sottratto ad un’analisi del processo di pace. Proprio nelle scorse settimane – ha raccontato – ha avuto incontri con tutte le parti in causa e ha registrato una situazione di stallo, nonostante che a livello di dichiarazioni dell’amministrazione Usa sia cambiato molto. Si è detto convinto che una soluzione del conflitto dovrà affrontare anche il nodo degli insediamenti israeliani e del muro di separazione. E’ anche necessario che si arrivi ad un accordo tra Fatah e Hamas perché l’idea di dividere i palestinesi si è dimostrata sbagliata. Dal recente congresso di Fatah giungono segnali interessanti. Anche Hamas deve però cambiare.

A chi gli faceva notare come la Cina in Africa non sia attenta al rispetto dei diritti umani ha risposto che è vero, ma con onestà dobbiamo riconoscere che sta facendo quello che le potenze coloniali europee hanno fatto in un recente passato. L’Africa ha bisogno di aiuti, di cooperazione, sui quali anche l’Italia è deficitaria, ma soprattutto ha bisogno di unità politica e di costituire un vero mercato allargato con la creazione di infrastrutture.

Sul ruolo delle religioni nella costruzione dell’Europa, Prodi ha ricordato come tra i sei leader dei paesi fondatori vi fosse un’unica appartenenza di fede che sicuramente ha fatto da collante. Oggi con 25 paesi e tante fedi diverse è certamente più difficile. Ma sarebbe davvero utile che i leader religiosi dessero loro per primi l’esempio.

Ad una ragazza che gli chiedeva le motivazioni della sua scelta politica e cosa si può fare per superare la diffidenza dei giovani verso le istituzioni Prodi ha confessato di aver sofferto molto da primo ministro per le pressioni della stampa. Oggi nelle democrazie l’uso dei sondaggi e dei media spingono a cercare soluzioni immediate ai problemi, ad occuparsi solo del breve termine, che è sempre sbagliato. Il vero leader politico deve esser capace di condurre non di seguire l’opinione pubblica, anche a costo della sconfitta. Non è neanche un problema di età. E a questo proposito ha citato l’esempio di un politico anziano, Kohl, che nel momento decisivo seppe guardare lontano, non ascoltando chi nel suo paese non voleva abbandonare il marco per l’euro. “Ho visto ben pochi giovani – ha confessato – avere una visione così profonda e lungimirante”. Il Documento finale del Campo

Nella foto, Romano Prodi al Villaggio La Vela con alcuni giovani israeliani e palestinesi, al termine dell’incontro