Italia

Profughi, dalle parrocchie una risposta generosa

Un anno fa, 6 settembre 2015, Papa Francesco lanciava uno dei suoi appelli più impegnativi per la Chiesa italiana: ogni parrocchia ospiti una famiglia di profughi. E cominciò per primo a dare l’esempio, accogliendone un paio in Vaticano e poi, durante lo storico viaggio all’isola di Lesbo il 16 aprile 2016, tornò portando con sé, sull’aereo, una dozzina di siriani. Impegnativo perché l’accoglienza non si improvvisa: i richiedenti asilo che arrivano in Italia hanno bisogno di tutele legali, sanitarie, sono inseriti in un sistema molto strutturato di accoglienza a diversi livelli coordinato dal Ministero dell’interno, dalle Prefetture e dai Comuni e attraverso enti gestori che dovrebbero avere tutti le competenze necessarie.

Una sfida alta ma non impossibile, che a distanza di un anno ha prodotto sì dei numeri, che però sono meno importanti dei fatti. Secondo la Fondazione Migrantes oggi 500 parrocchie accolgono oltre 5mila persone, comprendendo anche situazioni di emergenza come Ventimiglia, Como, Bolzano, eccetera, anche se le cifre cambiano di giorno in giorno. Con un risparmio per lo Stato di circa 50 milioni di euro.

Al 1° settembre 2016 Migrantes stima circa 30mila persone nelle strutture ecclesiali (in diocesi, parrocchie, comunità religiose e famiglie). Erano 22mila un anno fa: questo significa quasi 8mila persone in più rispetto all’anno precedente. Ma al di là dei numeri il risultato più grande è stato il miglioramento della qualità dell’accoglienza, l’accento posto sull’integrazione e il cambiamento della mentalità laddove c’era scarsa informazione, se non addirittura pregiudizi e ostilità.

Obiettivo: qualità dell’accoglienza e integrazione. In risposta all’appello del Papa Caritas italiana ha proposto quest’anno, e per tutto il 2017, la seconda edizione del progetto «Rifugiato a casa mia», in collaborazione con le Acli. Una ospitalità per una media di sei mesi mirata all’integrazione (tutti hanno il permesso di soggiorno) e all’autonomia, con il tutoraggio di Caritas italiana e un contributo mensile di 100 euro a beneficiario, finanziato con l’8 per mille Cei e il 5 per mille Acli.

L’attuale impegno economico supera i 220mila euro. Delle 1000 disponibilità iniziali in 60 diocesi sono state attivate, da febbraio/aprile 2016 fino a luglio 2016, 380 accoglienze in 72 diocesi italiani, equamente distribuite tra Nord, Centro e Sud Italia. Le parrocchie sono le più attive, con 169 beneficiari accolti. A seguire le accoglienze in appartamenti di proprietà di diocesi o parrocchie (109), in famiglia (65) e in istituto (37).

«Non ci interessano i numeri ma la qualità dell’accoglienza – spiega Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas italiana -. Altrimenti avremmo potuto accogliere migliaia di profughi in un seminario vuoto, ma quello è un modello che contestiamo. Ci interessano i percorsi di autonomia delle persone, l’inserimento lavorativo, scolastico e sociale, e il cambiamento della mentalità, aiutando le comunità a costruire integrazione. Ci sono ancora molti cattolici che si dichiarano tali ma sono recalcitranti su questi temi. In questo senso è stato un successo, perché abbiamo coinvolto una cinquantina di realtà che non avevano mai attivato accoglienze».

Le storie positive non mancano e già a livello diocesano vengono raccontate. Come quella di Louai, Norma e dei loro tre figli. Cristiani siriani, sono fuggiti dal conflitto dopo aver ricevuto minacce di morte. Ora sono nella diocesi di Manfredonia (Foggia). Alberto e Antonia, i due genitori «tutor», hanno seguito la famiglia di Louai fin dall’arrivo in Italia, aiutando i figli ad inserirsi a scuola e a superare le difficoltà linguistiche. Insieme hanno cercato un appartamento con un laboratorio per Louai, che oggi dipinge e vende bellissime icone sacre. Sempre in Puglia, a Putignano, il 28enne ghanese Fuad e sua moglie Favour, nigeriana di 26 anni, hanno ricominciato una vita serena dopo una drammatica fuga dalla Libia e l’arrivo in Italia su un barcone: ora Fouad frequenta un corso di italiano e lavora nella «Ciclofficina», un’associazione che si occupa di cicloturismo, ciclabilità e integrazione. Caritas italiana segue tutti con dei tutor. Ha anche messo a disposizione uno psicologo per la formazione delle famiglie e comunità coinvolte. «Le esperienze positive sono tante – ricorda Luciana Forlino, responsabile del monitoraggio del progetto di Caritas italiana – con le piccole difficoltà quotidiane. Tutte hanno consentito una buona integrazione e una conoscenza reciproca».

Nelle strutture ecclesiali accoglienza più diffusa e di tipo familiare . C’è poi un aspetto nuovo e positivo emerso durante l’anno, come rileva mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes: «molte accoglienze nei centri sono state trasferite in piccole realtà. E’ cambiata la modalità di accoglienza: è diventa più diffusa sul territorio e di tipo familiare». «Siamo soddisfatti dei risultati – commenta – perché in poco tempo e senza risorse, in un anno sono state accolte tante persone».

Mons. Perego evidenzia però un particolare significativo: negli 8mila comuni italiani vi sono 23mila parrocchie, una media di 4 parrocchie ogni comune. «Molte comunità parrocchiali, negli Appennini e nella Pianura Padana, sono molto piccole e non hanno né spazi né risorse», osserva. La Migrantes chiede da tempo che non siano solo i Comuni i soggetti attuatori e capofila di un progetto Sprar (Sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati). «Il cambiamento – precisa – potrebbe portare ad un aumento delle accoglienze anche nelle realtà ecclesiali ed associative: rientreremmo nell’ambito dei servizi alla persona regolati dalla legge 328 (quindi dal Ministero del welfare), il sistema sarebbe più centrato sulla sussidiarietà e non su ragioni securitarie e di gestione istituzionale come avviene ora. Purtroppo la politicizzazione del tema non aiuta a leggere la realtà». I richiedenti asilo oggi accolti in Italia nei centri straordinari (Cas) e Sprar sono circa 145mila (il sistema è in grado di accoglierne 150mila), ossia 2 persone ogni 1000 abitanti. Una percentuale bassa se messa a confronto con i 17 ogni 1000 abitanti della Svezia o dell’Ungheria o ai 5 ogni 1000 abitanti della Germania.