Italia

Quando la coppia scoppia

Lo scorso anno in Italia ci sono state circa 90mila separazioni e oltre 50mila divorzi. Sabato 10 ottobre, a Milano, la presentazione del libro «Ancora famiglia», che contiene la prima ricerca con le associazioni dei separati. L’indagine è promossa dall’Istituto di antropologia per la cultura della famiglia e della persona, in collaborazione con il Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università cattolica di Milano e l’Associazione famiglie separate cristiane. «È uno studio assolutamente unico nel suo genere perché per la prima volta nell’indagine sono coinvolte le persone che vivono questo delicato problema. Si tratta di separati transitati per un’associazione», spiega Paola Tettamanzi, autrice del libro e responsabile del coordinamento dei progetti di ricerca dell’Istituto di antropologia per la cultura della famiglia e della persona. Nel libro si sostiene l’ipotesi che si può smettere di essere marito e moglie, ma non padri e madri.

Dati interessanti. La ricerca è stata effettuata attraverso un questionario, «abbastanza complesso – spiega Tettamanzi – perché indagava tanti aspetti della separazione. Siamo riusciti a intercettare, grazie all’aiuto dell’Associazione famiglie separate cristiane, più di trenta associazioni di stampo sia laico sia cattolico e attraverso di loro circa un migliaio di persone. I questionari validi sono stati 585, di cui 405 di uomini e 180 di donne». La ricerca è stata estesa a tutto il territorio italiano, ma la maggioranza delle risposte arriva dal Centro-Nord. «L’indagine – evidenza l’autrice del volume – ha prodotto una mole di dati incredibile: quello che è presente nel libro è una piccola parte che gli esperti del Centro di Ateneo della cattolica hanno ritenuto di estrapolare». Il volume è diviso in due parti: una con un estratto dei dati della ricerca e l’altra con una raccolta di interviste, che rendono concreti i dati, «perché dimostrano che questi numeri, queste percentuali e queste tabelle non sono fini a se stessi, ma rispecchiano reali situazioni di vita». Precedentemente sono stati realizzati dei focus con i rappresentanti dei separati, che hanno evidenziato le problematiche che si attraversano nella separazione. Il questionario stesso è stato diviso in sezioni: sugli aspetti economici, sui rapporti con le istituzioni (avvocati, giudici, assistenti sociali, psicologi), sul rapporto di coppia prima, durante e dopo la separazione, sul rapporto della coppia con le famiglie di origine prima, durante e dopo la separazione. Interessanti anche i dati emersi rispetto al tipo di matrimonio celebrato tra le coppie separate intercettate dall’indagine: «Le separazioni riguardano il 70,4% di coppie sposate con matrimonio religioso, il 12,6% di coppie sposate civilmente; il 14,6% di coppie che hanno avuto esperienza di convivenza pluriennale e il 2,4% i ‘lat’ (living apart together, persone che stanno insieme pur vivendo in case diverse). Per quanto riguarda la durata, i matrimoni religiosi sono quelli che resistono più tempo: prima di arrivare alla crisi passano nove anni; con il matrimonio civile si arriva alla separazione dopo sette anni; le convivenze sono le prime a entrare in crisi, dopo quattro anni».

Valorizzare l’associazionismo. Le interviste sono state realizzate da Tettamanzi in circa quattro mesi di incontri. Per evitare possibilità di riconoscimento i nomi degli intervistati sono stati cambiati, come pure le circostanze più marginali e quindi ininfluenti sulla storia, perché sono vicende non ancora concluse sotto il profilo giudiziario. Ciascuna intervista riguarda un campo della ricerca: ad esempio, i rapporti con i figli; i motivi che portano alla separazione, spesso legati a problemi di violenza all’interno della famiglia; l’impoverimento, soprattutto dei padri separati, il ritorno forzato nelle famiglie di origine dopo la separazione, a causa dell’impoverimento. «Il messaggio forte che emerge dai dati della ricerca, sotto il profilo sociologico, è che tutti coloro che a livello pubblico si occupano di separazioni devono cominciare a valorizzare l’associazionismo, specificamente riservato alle persone separate, come una risorsa importantissima. Attraverso l’associazione i separati, infatti, ritrovano un ruolo sociale, smarrito al momento della separazione, momento di grande sofferenza, anche se spesso si è cercato di far passare un messaggio diverso», afferma Tettamanzi. Esistono già delle buone prassi? «A noi non risulta. Queste associazioni spesso operano in condizioni precarie perché si reggono sul volontariato».