Italia

«Quel giovane SS che mi salvò la vita a S. Anna di Stazzema»

di Caterina Guidi

Una mattinata qualunque – venerdì 26 marzo – a Roma: traffico, smog, gente che corre qua e là per le strade. Una mattinata diversa nella sede del Goethe Institut, dove Enio Mancini ha incontrato il nipote dell’SS che, nell’estate del ’44, salvò la vita a lui e ad alcuni suoi familiari.

La vicenda è nota: il 12 agosto del 1944, mentre nella zona di Sant’Anna di Stazzema 560 persone morivano in uno dei più efferati eccidi dell’occupazione nazista, alcuni abitanti del borgo di Sennari marciavano scortati verso la valle, incontro a morte certa. Una giovanissima SS era rimasta indietro con un gruppetto di persone; fra loro Enio Mancini – 6 anni –, suo fratello, le donne di casa… fu un attimo: il militare fece loro cenno di scappare, di tornare verso il paese senza farsi vedere. Mentre il gruppo si incamminava, la SS sparò in aria, per coprire ancora meglio il suo atto di pietà.

Oggi quel soldato sembra avere finalmente un volto e un nome: si trattò probabilmente di Peter Bonzelet – morto nel 1990 –, di Magonza, 17 anni all’epoca. «Quel soldato – ha commentato Mancini durante l’incontro – ci salvò la vita a rischio della sua. Se lo avessero scoperto i suoi superiori…».

Il nipote di Bonzelet, Jochen Kirwel, 27 anni, studente di Teologia, è venuto a conoscenza dei fatti solo di recente: «Il nonno non parlava mai di quello che era successo a Sant’Anna. Ma la nonna – prima di morire – ci ha raccontato questo episodio per farci capire come, fra tanta violenza, suo marito riuscì a compiere un gesto di umanità».

Da lì, dopo una breve ricerca, Kirwel è riuscito a risalire a Enio Mancini e a contattarlo: «Oggi sono emozionato, certo – racconta Manicini –, ma mai come il giorno in cui ho ricevuto la telefonata di questo giovane». Dal racconto dello studente tedesco apprendiamo anche come Bonzelet – tornato dai suoi compagni – abbia continuato a coprire il gruppetto in fuga, dicendo ai superiori di averli giustiziati lui nel bosco. Dopo i fatti la giovane SS chiese e ottenne una licenza speciale… lo shock per quello che era successo in Versilia lo ha accompagnato per il resto della vita. Ma nel futuro di suo nipote c’è probabilmente un più stretto rapporto con gli abitanti di Sant’Anna: «per ora devo finire i miei studi – racconta Kirwel a Toscana Oggi – ma nei prossimi mesi visiterò senz’altro il luogo dell’eccidio»; poi si vedrà.

Venerdì mattina Enio Mancini ed Enrico Pieri, presidente dell’Associazione martiri di Sant’Anna di Stazzema, hanno ricevuto la medaglia dell’Ordine al merito della Repubblica Federale Tedesca dalle mani del vice ambasciatore Friedrich Daeuble.

Il premio arriva per il grande impegno dei due a favore della memoria, della pace, del dialogo. Ogni anno sono tante le iniziative promosse dall’Associazione e dal Comitato per le onoranze ai martiri di Sant’Anna. Dal 1982 è aperto il Museo storico della Resistenza – fondato e diretto per molti anni da Mancini –; più recente è la creazione del Parco nazionale della Pace, che abbraccia la piazza di Sant’Anna, l’area circostante e il Monumento-ossario delle vittime. Da alcuni anni anche la musica è diventata occasione per promuovere la pace, grazie ai coniugi Maren e Horst Westermann, musicisti di Essen.

Per loro iniziativa la chiesa del paese, centro simbolico – e non solo – dell’eccidio, è tornata nel 2007 ad avere un organo, dopo la distruzione di quello antico nella tragica mattina del 12 agosto ’44. L’amicizia fra i Westermann e Sant’Anna è andata consolidandosi sempre più: sono stati proprio i coniugi tedeschi a proporre Pieri e Mancini per l’onorificenza. Prima della premiazione è stata proiettata la docufiction «E poi venne il silenzio – ricordi di un eccidio», del regista Irish Braschi, realizzata in occasione dei 65 anni dalla tragedia, prodotta dalla «11 Marzo film» in collaborazione con Rai Cinema e Toscana Film Commission. Quindi, la consegna delle medaglie, alla presenza del sindaco di Stazzema Michele Silicani, del presidente della provincia di Lucca Stefano Baccelli, di tanti amici e familiari delle vittime e degli studenti del Goethe Institut.

A fine cerimonia Enio Mancini ha ringraziato quanti, in questi anni, si sono impegnati a favore della pace e della verità, e ha lanciato un appello: «Enrico Pieri ha scritto una lettera al ministro della giustizia tedesco, chiedendo un favore: dopo la condanna in Italia, vorremmo che i colpevoli fossero perseguiti là, in Germania. Non per un desiderio di vendetta, ma in nome della giustizia. Anche se comprendiamo che è un passo difficile per il popolo tedesco».

LA SCHEDAA Sant’Anna di Stazzema, la mattina del 12 agosto 1944, si consumò uno dei più atroci crimini commessi ai danni delle popolazioni civili nel secondo dopoguerra in Italia. La furia omicida dei nazi-fascisti si abbattè, improvvisa e implacabile, su tutto e su tutti. Nel giro di poche ore, nei borghi del piccolo paese, alla Vaccareccia, alle Case, al Moco, al Pero, ai Coletti, centinaia e centinaia di corpi rimasero a terra, senza vita, trucidati, bruciati, straziati.

Quel mattino di agosto a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, quassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie.

A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera. La strage di Sant’Anna di Stazzema desta ancora oggi un senso di sgomento e di profonda desolazione civile e morale, poiché rappresenta una delle pagine più brutali della barbarie nazifascista, il cancro che aveva colpito l’Europa e che devastò i valori della democrazia e della tolleranza. Rappresentò un odioso oltraggio compiuto ai danni della dignità umana. Quel giorno l’uomo decise di negare se stesso, di rinunciare alla difesa ed al rispetto della persona e dei diritti in essa radicati.