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Reddito di cittadinanza e «quota 100»: come funzionano e a chi spettano

Per il Reddito di cittadinanza le richieste partiranno da marzo e la prima erogazione è prevista a fine aprile. Sarà attivato un apposito portale per le richieste online oppure ci si potrà rivolgere agli uffici postali (incaricati anche di distribuire la «card» tipo postepay in caso di ottenimento del Rdc) o ai Caf. Il principale requisito economico è un Isee non superiore a 9.360 euro, ma con ulteriori specifiche. Il reddito familiare, infatti, non deve superare i 6.000 euro annui, limite che cresce in base al numero dei componenti della famiglia e alla presenza di minori, fino a un tetto di 12.600 euro (20.000 euro se è presente un disabile). Il patrimonio immobiliare, esclusa la prima casa, non deve superare i 30mila euro. Altri limiti riguardano l’acquisto di auto, moto, barche ecc. Pene molto severe, compreso il carcere fino a 6 anni, sono previste per chi dichiara il falso.

L’assegno massimo è pari a 500 euro mensili (se il soggetto ha reddito pari a zero, altrimenti il Rdc va a integrazione di quanto autonomamente percepito fino al tetto) più 280 euro di contributo per l’affitto qualora non si abiti in una casa di proprietà. Un contributo minore è previsto per chi è proprietario ma per comprare la casa ha dovuto stipulare un mutuo.

L’assegno viene modulato in base alla composizione nel nucleo familiare e può arrivare fino a 1.300 euro per una famiglia con due adulti e tre figli (di cui due minorenni). Per la pensione di cittadinanza l’importo massimo dell’integrazione al reddito è di 630 euro mensili per un singolo (882 per due componenti) più 150 euro per l’eventuale affitto. La misura è riservata ai nuclei composti esclusivamente da persone con almeno 67 anni di età. Le famiglie potenzialmente beneficiarie vengono stimate in un milione e 320 mila, di cui 164 mila straniere. Tra gli stranieri la povertà ha tassi estremamente più elevati rispetto agli italiani, ma il limite di 10 anni di residenza in Italia ha falcidiato il bacino. Peraltro è richiesta la presenza continuativa in Italia negli ultimi 24 mesi e questo riguarderebbe anche un cittadino italiano in rientro dall’estero. Qualche osservatore ha fatto notare che dividendo le somme stanziate nella legge di bilancio per il numero dei potenziali beneficiari i conti non tornano: il Rdc arriverebbe a circa 390 euro medi a famiglia e 138 euro a persona. Ma a questo punto non resta che aspettare i dati effettivi dei prossimi mesi.

Il Reddito di cittadinanza sarà erogato per 18 mesi, con la possibilità di un rinnovo per altri 18.

La misura non prevede soltanto un contributo economico ma un percorso di accompagnamento che coinvolge tutto il nucleo familiare attraverso un «patto per il lavoro» e un «patto per la formazione», con la possibilità di un «patto per l’inclusione» analogo a quello dell’attuale Rei (che continuerà a essere percepito da chi già lo riceve fino al termine conclusivo). Quest’ultimo percorso riguarda i casi in cui il problema non sia di natura lavorativa – la povertà è un fenomeno multidimensionale – e chiama in causa i servizi sociali dei Comuni invece dei Centri per l’impiego, che restano però il punto di riferimento centrale di tutta l’operazione. Infatti, «nel caso in cui, in esito alla valutazione preliminare, i bisogni del nucleo familiare e dei suoi componenti siano prevalentemente connessi alla situazione lavorativa, i servizi competenti sono comunque individuati presso i Centri per l’impiego». Da tali Centri dovranno arrivare le proposte lavorative per i singoli o i nuclei percettori del Rdc, che dovranno inoltre mettere a disposizione 8 ore settimanali per progetti socialmente utili sul territorio. Le proposte dovranno essere «congrue» e questo, tra l’altro, significa che potranno riguardare una sede lavorativa in un raggio di 100 km nei primi sei mesi e di 250 km dopo il sesto mese (sono previsti correttivi per le situazioni in cui i soggetti hanno particolari doveri di cura, ecc.). Dopo tre proposte rifiutate (oppure dopo la prima se sono trascorsi già 12 mesi), si decade dal beneficio. Per incentivare l’assunzione di percettori del Rdc, i datori di lavoro riceveranno in forma di sgravi contributivi un importo pari agli assegni mancanti dalla partenza del contratto (a tempo pieno e indeterminato) fino alla scadenza dei 18 mesi, con un minimo di 5 mesi.

«Quota 100», ecco i requisiti: in pensione con almeno 62 anni di età e un minimo di 38 anni di contributi

Si potrà andare in pensione con almeno 62 anni di età e un minimo di 38 anni di contributi. È questa la «quota 100» approvata in via sperimentale per un triennio, con una clausola di salvaguardia che scatterebbe nel caso di superamento dei piani di spesa per tenere sotto controllo i conti pubblici. La prima «finestra» per andare in pensione con i nuovi criteri, avendo maturato i requisiti al 31 dicembre scorso, è ad aprile per i lavoratori del settore privato, mentre i dipendenti pubblici dovranno attendere agosto e in ogni caso dovranno presentare la domanda con un preavviso di sei mesi. Nel settore della scuola resta in vigore il regime speciale: chi matura quota 100 entro il 31 marzo potrà andare in pensione a settembre, gli altri dal prossimo anno scolastico. Per i dipendenti pubblici è stata introdotta una novità che riguarda la liquidazione: invece di aspettare i 67 anni e il versamento in più rate, potranno ottenere dalle banche un anticipo fino a 30 mila euro con il 95% degli interessi a carico dello Stato. Per colmare i vuoti contributivi (al massimo 5 anni) le nuove norme stabiliscono condizioni di riscatto agevolate. Entro i 45 anni il trattamento agevolato comprende anche il riscatto del periodo di laurea.

La platea potenziale è stimata in 315 mila persone nel 2019, un milione nel triennio.

La scelta di usufruire della quota 100 è libera, in quanto il lavoratore dovrà tenere conto che la pensione sarà ridotta in proporzione all’anticipo rispetto ai termini della legge Fornero (si calcola circa 3-5% per ogni anno in meno) e questo non perché sia prevista una penale, ma per il semplice effetto dei minori contributi versati. Viene introdotto anche un divieto di cumulo con i redditi da lavoro, fatta eccezione per il lavoro autonomo fino a 5 mila euro annui. Le nuove norme prevedono la possibilità di andare in pensione anche fino a tre anni prima del raggiungimento dei requisiti, attraverso accordi tra imprese e sindacati che diano il via a fondi di solidarietà bilaterale per finanziare un assegno straordinario a copertura degli anni scontati e sempre che il datore di lavoro assuma un nuovo lavoratore per ogni pensionato.

Viene anche bloccato a 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi di contributi il requisito per andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica. Doveva scattare un incremento di 5 mesi, ma poiché bisogna comunque aspettare che si apra la «finestra» trimestrale, la riduzione reale è di 2 mesi.

Ai lavoratori precoci (chi ha iniziato a lavorare prima dei 19 anni) non si applica l’adeguamento alla speranza di vita e quindi essi potranno andare in pensione con 41 anni di contributi (più i tre mesi della «finestra»). Viene inoltre prorogato di un anno l’Ape sociale, l’anticipo pensionistico per i soggetti disoccupati o in grave difficoltà. Le lavoratrici con almeno 35 anni di contributi potranno uscire dal lavoro a 58 (se dipendenti) o 59 anni (se autonome) avvalendosi dell’«opzione donna» che però prevede il ricalcolo dell’intero assegno previdenziale con il meno vantaggioso metodo contributivo.