Italia

SETTIMANA SOCIALE, SAVAGNONE: PER SCONFIGGERE LA MAFIA SERVE UN GRANDE PROGETTO EDUCATIVO

(Reggio Calabria) – “Le denunzie della Chiesa sulla mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, sono da diversi anni molto nette”, a cominciare dalla famosa frase pronunciata da Giovanni Paolo II ad Agrigento, il 9 maggio 1993, fino alle recentissime parole di Benedetto XVI, che a Palermo ha definito la mafia “una strada di morte” e ne ha “solennemente dichiarato l’incompatibilità col Vangelo e la vita cristiana”. Ma le denuncie “non bastano”, perché “per sconfiggere la mafia c’è bisogno di un preciso intervento educativo”: “è su questo terreno che si gioca il ruolo decisivo della Chiesa nel Sud”. Lo ha detto Giuseppe Savagnone, direttore del Centro diocesano per la pastorale della cultura di Palermo, nella sua relazione alla Settimana Sociale, incentrata sul documento “Chiesa italiana e Mezzogiorno”. “In mancanza di questo rinnovamento culturale, nessuna innovazione giuridica può risultare decisiva”, ha spiegato il relatore, secondo il quale “proprio a questo livello culturale la comunità cristiana sa di dover fare sempre più coerentemente la propria parte, traendo precisamente dal Vangelo – e non da un generico codice etico – l’ispirazione per un impegno sempre più pienamente umano”. Savagnone ha citato gli esempi di don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana e Rosario Livatino, ma anche le “battaglie civili, condotte soprattutto dai giovani”, per sconfiggere la mafia. “Resta, però – ha proseguito Savagnone – lo scandalo di un territorio su cui i cattolici hanno un capillare e profondo radicamento, più che al Nord”, e nel quale “le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la lezione profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia”. “Non si tratta di invocare un assistenzialismo che sarebbe fatale, ma di suscitare, partendo dalle potenzialità già presenti, nuove mentalità e nuovi stili di comportamento da parte della stessa gente del Sud”, ha osservato il relatore, secondo il quale “la società meridionale non ha bisogno di un ente assistenziale in più, o di un supporto alla lotta contro la mafia che venga in soccorso alle istituzioni politiche, esercitando una funzione di supplenza”. Non si tratta, perciò, “di assumere, come fanno alcuni presbiteri e laici, modelli profani di linguaggio” mutuati dalla “cultura laica, o più banalmente nei mass-media”. Si tratta di “imparare a dire le ragioni cristiane dell’impegno per la promozione umana e per un rifiuto radicale della mafia”. Perciò il Sud “non ha tanto bisogno di ‘preti anti-mafia’, quanto di presbiteri come don Pino Puglisi, che non lo fu mai, perché scelse di essere fino in fondo solo un sacerdote”, che “seppe magistralmente coniugare”, soprattutto con i giovani, evangelizzazione e promozione umana. “La presenza costruttiva della Chiesa nel Meridione non è affidata solo ai documenti ufficiali e alle figure eccezionali dei suoi martiri, ma allo stile di vita delle comunità ecclesiali”. In questa prospettiva, per Savagnone, “le Chiese del Sud sono chiamate a dare il loro essenziale contributo, con la loro pastorale ordinaria, prima ancora che con singole denunzie”, mettendo mano ad “un grande progetto educativo” che “affronti alla radice, partendo dalla formazione delle persone, i problemi culturali”, attraverso “una profonda trasformazione della pastorale”, a partire da un nuovo protagonismo dei laici. “Troppe volte ancora – la denuncia di Savagnone – la nostra pastorale è affetta da una schizofrenia che da un lato neutralizza la valenza laica dei fedeli quando si trovano all’interno del tempio e assegna loro esclusivamente un ruolo di vice-preti, ignorando la loro dimensione professionale, familiare, politica; dall’altro, li abbandona, fuori delle mura del tempio, a una logica puramente secolaristica, per cui essi alimentano la loro cultura non attingendo al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa, ma ai grandi quotidiani laicisti e alla televisione”. Le denuncie della Chiesa, spesso “sono rimaste al piano nobile. C’è un piano terra, quello della pastorale ordinaria”, di cui bisogna maggiormente tener conto. “Forse sorprende e spiazza – ha osservato Savagnone – il fatto che la Chiesa si occupi, oltre che dei problemi più strettamente connessi alla sfera etica, come sono quelli della biomedicina e della famiglia, in cui sarebbero ravvisabili in modo esclusivo i ‘valori non negoziabili’, anche di quelli relativi agli assetti sociali e politici”. Un “merito” del documento dei vescovi “Chiesa e Mezzogiorno” è “di aver sottolineato che alla Chiesa sta a cuore non soltanto la vita nel momento del suo concepimento o in quello terminale, ma anche ciò che sta tra questi due momenti estremi. Anche la solidarietà è un valore non negoziabile, come lo è la sorte di tutti i deboli e gli esclusi. È a questo titolo che la Chiesa si occupa della questione meridionale”. “Non si tratta – ha puntualizzato Savagnone – di invitare la comunità ecclesiale nazionale a occuparsi di una parte malata. Non è solo che bisogna curare lo sviluppo del Sud perché è indispensabile a quello dell’intera nazione: bisogna curare uno sviluppo più armonico dell’intera nazione: bisogna curare uno sviluppo più armonico dell’intera nazione, che comporta necessariamente lo sviluppo del Sud”. Per questo, ha concluso, “il problema del Sud si risolverà solo con un impegno di tutto il Paese, non per beneficenza, ma nella consapevolezza ce non c’è sviluppo per nessuno se non ce n’è per tutti”. (Sir)