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STATO VEGETATIVO: MONS. SGRECCIA SU NOTA VATICANA, «MAI INTERROMPERE VOLUTAMENTE LA VITA»

“Attraverso certe formulazioni di dignità della morte, di aiuto a morire, spesso si nascondono atteggiamenti eutanasiaci. Mai si deve per pietà interrompere una vita che può essere sostenuta. Gli altri interventi, le vere e proprie terapie, vanno somministrati secondo la proporzionalità, secondi dei criteri di ordinarietà: ma mai interrompere volutamente la vita, anche se si prevede che essa durerà poco o si pensa che non si possa fare più niente dal punto di vista terapeutico”. E’ l’opinione di mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, dopo la pubblicazione , questa mattina, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, delle risposte a due quesiti della Conferenza Episcopale statunitense riguardanti l’alimentazione e l’idratazione dei pazienti che versano nella condizione comunemente denominata “stato vegetativo”. Mons. Sgreccia, in una intervista alla Radio vaticana, ricorda che il documento del 1980 sull’eutanasia (Dichiarazione sull’eutanasia, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 5 maggio 1980) quando si tratta di interventi terapeutici “diretti a rimuovere un fatto acuto di malattia, parla di ‘proporzionalità’ e ‘sproporzionalità’ dei mezzi, e inoltre parla anche di ‘carattere ordinario o ‘straordinario’ per quanto riguarda le possibilità del paziente di affrontarli”. “Ma queste distinzioni – spiega il presidente della Pontificia Accademia per la Vita – si riferiscono agli interventi terapeutici. Oltre ad essi, accanto al letto del malato e per il malato, si deve praticare l’assistenza, cioè il sostegno vitale, il superamento del dolore. Non sono, questi, interventi diretti a guarire il paziente, perché il paziente nel caso dello stato vegetativo permanente non sempre guarisce”. Si tratta, invece, di assisterlo con le “cure ordinarie”, ovvero quelle “cure alle quali qualsiasi uomo ha diritto: il bambino appena nato, noi che siamo adulti, che lavoriamo e abbiamo bisogno di essere nutriti, e anche il morente, che ha il diritto di ricevere queste cure, che sono un diritto di tutti”. “Non sono – conclude mons. Sgreccia – interventi terapeutici, ma sono cure. Anche se non sempre servono a guarire, servono sempre a lenire la sofferenza, e nel momento della morte a soffrire di meno. Per questo, c’è l’obbligo di somministrarle fino alla fine. Purché, certo, il paziente sia in grado di riceverle: se il paziente è in uno stato tale che somministrando acqua o cibo questo non viene più ricevuto ciò non è più da considerare acqua e cibo”.Sir