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Sanità. I 40 anni del Ssn. Mattarella: «Eccellenza da mantenere e migliorare sempre più»

Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha compiuto 40 anni e li ha festeggiati il 12 dicembre, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro della Salute Giulia Grillo, con un evento nella sede del dicastero, intitolato «40 anni di Servizio sanitario nazionale, 1978-2018. La sfida continua». Una vera rivoluzione, la legge 833/1978 che lo ha istituito sancendo la responsabilità pubblica della tutela della salute, l’universalità e l’equità di accesso ai servizi sanitari, una globalità di copertura in base ai livelli essenziali di assistenza. Almeno sulla carta, perché si tratta di obiettivi non completamente raggiunti e per i quali occorre ulteriore impegno.

La parola ai protagonisti. Dall’infermiera al medico di famiglia; dal ricercatore alla specializzanda; dallo psichiatra al volontario del 118. Sono i «protagonisti» del sistema sanitario nazionale che oggi hanno preso la parola a nome degli oltre due milioni di colleghi che ogni giorno lavorano in corsia, negli ambulatori, nei presìdi sul territorio, nelle farmacie, nelle amministrazioni al servizio della salute dei cittadini. A loro è andato, in un simpatico «fuoriprogramma», il ringraziamento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a nome suo e di tutto il Paese. Dopo avere assistito all’evento – aperto da un video che ha ripercorso i quattro decenni trascorsi dalla legge 833/1978, scandito dalle testimonianze di questi «protagonisti» e concluso dal ministro Grillo – Mattarella, lasciando la sala, ha finito per cedere alle sollecitazioni dei presenti per un breve saluto. «Posso soltanto aggiungere una parola di ringraziamento a tutti i protagonisti del nostro eccellente servizio sanitario nazionale», ha esordito, che ci pone «all’avanguardia nella comunità internazionale». «Dobbiamo mantenere e sempre più migliorare questa condizione», l’esortazione del capo dello Stato che ha riconosciuto come l’eccellenza del sistema passi «attraverso l’opera, l’impegno, la passione e la dedizione» di coloro che a vario titolo ne fanno parte. E ha concluso rivolgendosi agli operatori presenti: «La Repubblica vi è grata. Grazie e buon lavoro».

«Anch’io sono il Ssn, sono infermiera e felice di esserlo», ha esordito Paola Arcadi, prendendo la parola a nome dei 444mila colleghi impegnati su tutto il territorio nazionale. «Oggi – ha affermato – viviamo le insidie di un sistema che fatica a sostenersi» e «richiede un ripensamento dei paradigmi della cura per non perdere il focus sulla centralità della persona».

«Il volontariato è uno dei tanti mattoni su cui si fonda il nostro Servizio sanitario nazionale, e non lo stucco per coprirne le crepe», ha sottolineato Fabio Bernagozzi, volontario del 118, neolaureato in medicina che ha iniziato sei anni fa la sua esperienza di volontario. «In un mondo sempre più proteso ad alzare muri, a escludere gli ultimi, dove conta solo il profitto, e chi lo genera e lo accumula – sostiene – ogni singolo volontario diventa un fondamentale strumento per guardare al futuro, custodendo i valori di libertà, altruismo e cooperazione».

Annarita Cosso è una rappresentante delle associazioni dei pazienti e ricorda la proclamazione della prima Carta dei diritti del malato in piazza del Campidoglio, poco dopo la nascita del Sssn, e la voce di una mamma che aveva perso la bambina per una grave malattia e durante il periodo della degenza non aveva potuto assisterla in ospedale perché allora le normative e i regolamenti non lo consentivano.

«Al sud ci si ammala di meno di tumori ma per chi si ammala c’è meno possibilità di sopravvivenza», la denuncia di Alberto Mantovani, oncologo e ricercatore del Ssn: «Si tratta di una diseguaglianza di cui dobbiamo farci carico insieme, pubblico e privato al servizio del pubblico».

«Centomila uomini e donne erano internati nei manicomi italiani, la maggioranza di essi a vita, quando Franco Basaglia iniziò il suo lavoro a Gorizia nel 1961, e poi a Trieste un decennio più tardi» ha ricordato Roberto Mezzina, dirigente Ssn, psichiatra, sostenendo che il padre della legge 180 «restituì voce, diritti, identità, cittadinanza e soprattutto libertà alle persone sofferenti di disturbi psichiatrici, e ispirò la riforma sanitaria in toto».

Italo Paolini, medico di famiglia ad Arquata del Tronto devastata dal sisma del 24 agosto 2016, ha detto di essersi sentito, «in quel frangente disastroso», parte di «un sistema territoriale capace di rispondere con tempestività ed efficacia» a chi «in quei giorni drammatici si sentiva smarrito e aveva bisogno non solo di cure mediche, ma anche di sentirsi accolto e ascoltato». «Abbiamo fatto rete», dimostrando che «noi medici possiamo interagire e lavorare al meglio, a maggior ragione anche nella routine, quando non ci sono terremoti a farci correre».

Nunzia Verde, medico di Napoli, specializzanda a Firenze, denuncia le «forti differenze territoriali tra le varie regioni» non solo «sul piano sanitario, ma anche su quello formativo». «Nonostante la standardizzazione nazionale delle competenze, la formazione specialistica è ancora in gran parte legata alla regione in cui ci si forma e si lavora».

«Rimediare alle storture» e lavorare «per sanare le intollerabili disparità tra diverse aree del Paese nell’accesso a trattamenti fondamentali», l’impegno assunto da Giulia Grillo che ha rivolto un appello ai presidenti di regione «per vincere la battaglia della lotta alla corruzione e al malgoverno, promuovere servizi migliori», dare risposte ai cittadini e «garantire la tenuta del sistema». Con una promessa: «Non cederemo alla privatizzazione dei diritti fondamentali dei cittadini. Universalismo, gratuità ed equità continueranno ad essere la base del nostro sistema»