Italia

Se affossano il servizio civile, ci rimette la «Patria»

di Francesco Paletti

I numeri: «Siamo passati dai 57mila posti messi a bando nel 2006 ai 19mila di questo anno e le risorse stanziate sono scese, in quattro anni, da 300 a 120 milioni di euro». Parte da dati Pierluigi Consorti, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Pisa e fondatore del Centro interdipartimentale di scienze per la pace dell’ateneo pisano. Per denunciare che «nonostante le richieste da parte dei giovani siano in continua crescita, il servizio civile nazionale sta morendo per asfissia, gli stanno togliendo l’ossigeno». Lo fa a pochi giorni di distanza dalla due giorni (15 e 16 ottobre) organizzata alla Camera dei Deputati e dedicata a «I volumi della democrazia», dove ha presentato la sua ultima fatica – «La difesa della patria, con e senza armi», edito da FrancoAngeli-, un testo scritto a quattro mani con il collega Francesco Dal Canto, anch’egli costituzionalista.

Che c’entra questo con il vostro libro professore?

«Senta, se anche non vi fosse stato alcun collegamento, il modo di dirglielo penso proprio che lo avrei trovato perché il tema mi sembra tanto rilevante quanto snobbato dalla politica. Però, in realtà, c’entra molto perché il servizio civile nazionale costituisce una concretizzazione essenziale del valore che, nel testo, attribuiamo alla patria, un concetto che invitiamo a rileggere con lenti un po’ più attuali e meno nostalgiche…».

Un messaggio rivolto anche alla galassia pacifista?

«Non proprio, ma se lei vuole leggercelo non mi oppongo. Mi spiego: la diffidenza di quell’ambiente è dovuta al fatto che, non solo nel nostro Paese, si è affermata di fatto una sorta di equazione fra la difesa della patria e forze armate. Ma in realtà non è così. O quanto meno non solo così: la patria, infatti, si può difendere anche con altri mezzi e strumenti».

Ad esempio con il servizio civile?

«Sicuramente. Ed è per questo che sono preoccupato dalle tendenze degli ultimi anni. Rischiamo di disperdere un’opportunità straordinaria: la disponibilità, espressa da migliaia di giovani, a fare per almeno un anno qualcosa per gli altri. Ma pensi anche al sistema di protezione civile: da quando l’esperienza della leva obbligatoria è finita, è gestito interamente dalle realtà del volontariato. Se superiamo quella visione un po’ nostalgica di questo valore, diviene difficile affermare che quell’impegno non abbia a che vedere con la difesa della patria».

Come si fa a superarla?

«Basta slegare l’idea di patria dalla difesa dei confini, una cosa per altro che è già realtà da diverso tempo proprio nel mondo militare. Si pensi, ad esempio, alla tragedia dei quattro alpini uccisi pochi giorni fa in Afghanistan: forse, loro non stavano difendendo la patria? Certo che sì. Eppure agivano a migliaia di chilometri di distanza dall’Italia e nella cornice di una cosiddetta “missione di pace” che, almeno nelle intenzioni dichiarate, si propone la pacificazione e la democratizzazione in un quella regione. Insomma, se pensiamo che difendere la patria non sia tanto proteggere una frontiera, ma soprattutto tutelare e custodire valori, quali la coesione sociale e la solidarietà, che poi sono alla base dell’idea di democrazia e della nostra Costituzione repubblicana, ecco allora, credo, la prospettiva cambi significativamente. La patria, in questo senso, diviene il bene comune e può, e anzi deve, essere tutelato anche in modo disarmato».

Un’accezione, che, però ancora stenta ad affermarsi…

«Non dal punto di vista dei comportamenti. La patria senz’armi la stiamo già difendendo in tanti, di fatto: pensi a tutto il mondo del volontariato e della solidarietà sociale. E, lo ribadisco, in particolare all’esperienza del servizio civile».

A proposito, chi è che gli sta togliendo l’ossigeno?

«La politica. E neppure senza che vi sia dietro un preciso disegno: la cosa grave è che questa esperienza rischia di morire semplicemente per incuria, perché quasi nessuno se ne occupa».

Al riguardo, le proposta di un maggior coinvolgimento delle regioni nella gestione del servizio la trovano favorevole?

«Sì, ma ad una condizione: che non venga meno l’impegno a livello centrale. Il servizio civile è, e deve continuare a essere, un’opportunità nazionale e, quindi, accessibile in tutte le regioni dello Stivale. Altrimenti, scomparirebbe proprio quel collegamento con la difesa della patria che, invece, a mio parere ne costituisce uno dei tratti maggiormente qualificanti».