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Se fai la guerra alla religione importi le guerre di religione

Il 2014 ha segnato «un evidente ritorno delle guerre di religione». È quanto emerge dal VII Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa (Dsc) nel mondo, realizzato dall’Osservatorio Cardinale Van Thuân, in collaborazione con il Movimento cristiano lavoratori (Mcl), dal titolo «Guerre di religione, guerre alla religione» e presentato oggi a Roma (Settimo Rapporto). Oltre 200 pagine di documentazione che passano in rassegna i fatti avvenuti nel mondo, evidenziando anche i principali cambiamenti biopolitici, economici e geopolitici del 2014, prestando attenzione all’azione della Santa Sede e al magistero sociale di Papa Francesco.

Una guerra non convenzionale. «Rimane indubbio che oggi, in questi casi acuti, il fattore religioso è quello che fa da sintesi a tutti gli altri» scrive Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Cardinale van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, nel rapporto. Non si è davanti a «guerra dichiarata, convenzionale, con uso di armi e strategie militari. È un conflitto, una lotta tramite leggi, licenziamenti, intimidazioni, uso dei media, destinazione di ingenti risorse alla propaganda contro la religione cattolica e i suoi presupposti». Così mentre «le guerre di religione sono dislocate nelle aree caratterizzate dai Califfati» esiste una guerra alla religione «attuata soprattutto nell’Occidente e, in particolare, in Europa.

Il vecchio continente è anche interessato alle ripercussioni dentro i propri confini delle guerre di religione, dato il fenomeno del terrorismo e il reclutamento delle milizie islamiste nei sobborghi delle grandi città europee, tra gli immigrati di seconda o di terza generazione». Guerre di religione e guerra alla religione: due tendenze che, si legge nel Rapporto, trovano il loro epicentro in Europa: «l’Occidente è troppo preso dalla sua guerra interna alla religione per potersi occupare delle guerre di religione in Siria o in Nigeria. È troppo preoccupato di recidere i propri legami con la religione proclamando l’indifferenza alle religioni, indebolendosi e rendendosi non più capace di difendere nel mondo nemmeno il diritto alla libertà di religione, che in un certo senso è una sua creazione».

Un Occidente «sempre più stanco» che «non dice una parola sulle persecuzioni dei cristiani che raggiungono ormai cifre da genocidio» privo di «spinta morale per proteggere le popolazioni vittime dei Califfati» o dei regimi religiosi.

Relativismo esportato. Il Rapporto parla di un concetto di libertà religiosa, «riduttivo, individualista, relativista, che non permette di trovare la forza di intervenire quando in nome della religione si producono violenze disumane e si negano gli stessi diritti umani fondamentali su cui si basa lo stesso diritto alla libertà religiosa, nato in Occidente». «I Paesi occidentali – sottolinea Fontana – importano religioni e esportano relativismo. Se un Paese come l’Inghilterra, di così lunga ed alta tradizione giuridica occidentale, ammette istituti giuridici propri della sharia islamica, compresa la presenza di tribunali islamici, significa che l’Occidente ha disimparato l’uso della ragione cui il Cristianesimo lo aveva educato». Considerazioni che riguardano anche la gestione delle immigrazioni. «Le guerre di religione, che penetrano fin nelle strade delle città occidentali trovano un terreno favorevole in quanto proprio lì è stata fatta una guerra alla religione».

Difficile, si legge nel Rapporto, «prevedere se sulle religioni prevarrà il secolarismo della guerra alla religione o il contrario». Molto dipenderà dall’aspetto demografico. «L’indice di natalità degli immigrati in Occidente ancora legati alla loro religione è molto più alto di quello dei Paesi occidentali. Tra qualche decennio in qualche Paese europeo ci sarà il sorpasso. È vero che, a contatto con la vita occidentale, anche la natalità delle famiglie islamiche – per fare l’esempio più interessante – tende a diminuire, ma il divario rimane comunque molto significativo».

Il contributo della Dottrina sociale della Chiesa. Di fronte a questi problemi, dichiara il direttore dell’Osservatorio van Thuân, la Dottrina sociale della Chiesa «deve dare un contributo non generico, moralistico, semplicistico, ma realistico. I termini pace, accoglienza, solidarietà possono essere caricati di deformazioni ideologiche se non tengono conto della verità e della realtà delle cose». Per Fontana, «la politica dell’integrazione non può fingere di non vedere che molte comunità ospitate in Occidente non vogliono integrarsi, si contrappongono ai nuclei originari cercando di prevaricarli. L’accoglienza non può essere indiscriminata, perché in questo caso si favorirebbe l’ingresso delle guerre di religione nel mondo occidentale. Il dovere di proteggere va riscoperto, anche nei confronti dei cittadini della propria nazione, dato che lo Stato mantiene nei loro confronti un dovere primario di provvedere al bene comune, e anche nei confronti delle situazioni in cui nel mondo regimi confessionali violenti perpetuano massacri indiscriminati e fanno fuggire i loro abitanti. La via d’uscita dalle guerre di religione e dalla guerra alla religione – conclude Fontana – è che si operi per una revisione sostanziale di come l’Occidente vuole guardare alla religione e in particolare alla cristiana, perché da questo dipende anche il modo con cui esso guarderà alle altre religioni e come queste guarderanno all’Occidente».