Italia

Se guerra, pace e Regione dividono i cattolici

di Andrea Fagioli«La guerra divide, ma può anche unire»: così ci era capitato di scrivere a proposito del «no» alla guerra in Iraq e alle altre forme di violenza, dalle dittature al terrorismo, espresso congiuntamente dai vescovi toscani (riuniti nell’ufficialità della loro Conferenza episcopale) e dalle massime cariche della Giunta regionale toscana (il presidente Claudio Martini e il vicepresidente Angelo Passaleva).

Ma la guerra può anche e solo dividere. E per assurdo sembra dividere soprattutto i cattolici, che al contrario dovrebbero trovarsi uniti sul valore della pace, senza «se» e senza «ma» e soprattutto senza destra e senza sinistra. Non è fuori luogo, infatti, pensare che anche la lettera aperta al presidente della Cet, l’arcivescovo di Pisa Alessandro Plotti, e agli altri vescovi della Toscana a firma degli 11 componenti i gruppi di Forza Italia e dell’Udc in Consiglio regionale, sia lo strascico di recenti polemiche che per certi versi hanno coinvolto anche il nostro e altri giornali sulle dichiarazioni di alcuni responsabili di associazioni cattoliche.

La lettera in questione, però, parte dal contestare le «due intese sui Beni culturali e sull’assistenza religiosa nelle realtà sanitarie, che la Conferenza episcopale toscana ha firmato con la Regione, e ancora – come si legge nella missiva – dei progetti di collaborazione fra Cet e Governo regionale su altri temi quali, tra gli altri, il welfare, la qualità e la quantità del lavoro».

Gli 11 firmatari contestano il «metodo» e l’«oggetto», fidandosi più dei resoconti di chi a quell’incontro non c’era rispetto a chi c’era.

Crediamo si possano anche contestare i vescovi se invitano a certe manifestazioni che non condividiamo, ma è davvero grave il solo dubitare che non siano attenti, come lascia intuire la lettera, alla «difesa della vita dal concepimento fino al suo termine naturale» o al «sostegno adeguato e non puramente verbale alle famiglie fondate sul matrimonio». Con in più la presunzione di ergersi quasi a paladini unici di questi valori. «Lei può stare certo, Eccellenza – si legge nella lettera –, che non sarà l’amarezza di tali constatazioni che ci fermerà nella difesa di questi valori». Sapendo poi che tra quelle 11 firme c’è anche chi quei valori non è che li condivide proprio del tutto (vedi ad esempio le recenti prese di posizione in Consiglio regionale sulla pillola abortiva).

Che poi certe intese le contestino Riccardo Nencini e Pieraldo Ciucchi dello Sdi non ci meraviglia più di tanto, fa parte della loro cultura laica. Caso mai a meravigliarsi dovrebbe essere Martini, visto che lo Sdi è nella sua maggioranza. A noi, però, meraviglia che si critichi il fatto che il presidente di una Regione una volta tanto decida di sentire anche i massimi rappresentanti delle comunità ecclesiali creando «occasioni di riflessione comune sul modello di welfare toscano», come c’è realmente scritto nel comunicato finale di quell’incontro. Ed essendo stati tra i pochi giornalisti presenti, possiamo confermare quanto già scritto su queste pagine (ma probabilmente ai cattolici non piace informarsi sui propri giornali) e cioè che, ad esempio, il valore della famiglia e le indispensabili politiche familiari per combattere la denatalità sono stati tra i temi sollevati con forza nel corso dell’incontro.Gli 11, come detto, contestano il «metodo» e l’«oggetto» quando il metodo e l’oggetto sono noti da tempo. Non vogliamo nasconderci dietro un dito, né avventurarci in patetiche difese d’ufficio e pertanto affermiamo con tutta tranquillità che le visioni in materie opinabili anche all’interno dell’episcopato toscano sono diversificate, ma è mancare di rispetto ai propri singoli pastori il pensare che non fossero coscienti e che non stessero da tempo lavorando a queste intese che riguardano questioni di grande importanza, così come hanno fatto anche i loro colleghi in altre regioni. Non a caso l’intesa toscana per la valorizzazione del patrimonio ecclesiastico segue quella firmata addirittura 11 anni fa dal cardinale Piovanelli e dal presidente Chiti, così come un precedente protocollo d’intesa sull’assistenza religiosa negli ospedali risale all’inizio del 2000 ed è frutto di un lungo percorso e se vogliamo di una «battaglia» per dare dignità a chi per «oggetto» ha l’assistenza spirituale dei sofferenti.Ci consola il fatto che, con molto probabilità, qualche firma in calce alla lettera sia stata messa controvoglia per dovere di squadra. L’ultima questione sollevata dalla lettera riguarda «un dubbio sulla opportunità che il presidente della Cet e vice presidente della Cei, in un articolo di fondo su un organo di partito qual è “L’Unità” intervenga, esponendo, fra l’altro, pensieri parziali e quantomeno opinabili».Anche in questo caso non ci dev’essere una grande stima (questa volta letteraria) nei confronti dei propri vescovi per capire che quello che viene definito «articolo di fondo» non è altro che la trascrizione di una dichiarazione a voce (cosa peraltro confermata dal diretto interessato).

Qualcuno a questo punto ci accuserà di meschineria, o quantomeno di scarso stile, perché attacchiamo i colleghi degli altri giornali e che così facendo scarichiamo sugli altri i problemi tutti interni al mondo cattolico e che magari i vescovi stessi non vogliono prendere di petto (vedi la recente polemica con «Il Giornale»). Ma è certo che l’operazione dell’«Unità» (che è sul fronte opposto al «Giornale») non è corretta soprattutto perché quella dichiarazione trasformata in «fondo» compare con un proprio titolo, tutto sommato positivo («Costruiamo una pace vera»), ma strumentalmente sotto a quello a tutta pagina di ben altro tenore e non corrispondente al vero: «La destra ringrazia le bombe e ignora gli aiuti».

Sarebbe allora opportuno anche per i vescovi usare più prudenza, tenendo conto che tante interviste, sia pure richieste con insistenza, possono nascondere un secondo scopo.

Infine, offriamo ai laici cattolici, più o meno impegnati in politica o nel sociale, una riflessione ad alta voce: non sarà che stiamo facendo il gioco di chi vuole che questa nostra presenza, già ampiamente minoritaria, sparisca del tutto?

Dice Plotti nel messaggio pasquale alla propria diocesi: «La pace non è di destra, né di sinistra e per noi cristiani è dono di Dio, che si realizza e si diffonde attraverso il Magistero della Chiesa, che sempre ha predicato la pace e la fraternità tra gli uomini».

Ha detto l’arcivescovo di Firenze, Ennio Antonelli, nella Messa per i politici: «È certo un grande progresso etico e civile il diffondersi generalizzato del desiderio di pace…. È di somma importanza che si diffonda la cultura dei diritti umani, universali, inviolabili e inalienabili: la Chiesa è in prima fila nella promozione di questi diritti inscindibilmente connessi con la dignità di ogni persona umana. È giusto che l’animo si infiammi per la libertà, la giustizia, la solidarietà, la pace».

Quello che dice il Papa, come si legge nell’editoriale di questo numero, è semplicemente «magistero»: non si tira da una parte e dall’altra. Noi cattolici invece stiamo qui a dire chi è di destra e chi è di sinistra. Forse sarà il caso di smetterla.

Intesa Cet-Martini: la lettera aperta dei consiglieri regionali di Fi e Udc