Italia

Se la Chiesa ci chiede di cambiare stile di vita

DI FRANCESCO PALETTI

Dalle dichiarazioni di principio alla testimonianza quotidiana. Dalle encicliche e dalle affermazioni del Magistero della Chiesa al consumo critico, al commercio equo e solidale, ai bilanci di giustizia, in generale «alla necessità di mettere in discussione il nostro benessere» come dice don Marco Belleri, direttore del ufficio missionario di Siena.

C’era anche lui, sabato e domenica scorsi, al convento di Sandetole – località Contea (Firenze) – che ha ospitato il seminario regionale di studio sui cosiddetti «nuovi stili di vita», voluto dagli uffici missionari e dalle Caritas della Toscana.

«È necessario fare un salto e passare ai gesti concreti perché il cambiamento passa dalla vita di ciascuno di noi – spiega don Belleri – gli squilibri nella distribuzione planetaria della ricchezza e le violenze e le angherie cui quotidianamente sottoponiamo l’ambiente ci dicono che stiamo andando esattamente nella direzione opposta al disegno di Dio».

Eppure le indicazioni del Magistero della chiesa, almeno da un certo un momento in poi, non sono mancate. C’è la «Gaudium et Spes», un riferimento ineludibile per la riflessione sugli stili di vita orientati in senso cristiano. Al numero 54 dice testualmente: «Il dovere della giustizia e dell’amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini. Vi sono di quelli che, pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia continuano a vivere in pratica come se non avessero alcuna cura delle necessità della società».

I riferimenti, anche più circostanziati, non mancano: c’è pure la «Populorum Progressio» e una miriade di documenti promossi dalle chiese locali e dai vari uffici pastorali. Ma i problemi sono altri, almeno per don Marco Belleri, che al seminario è intervenuto in veste di relatore proprio sul tema dei «fondamenti biblici e del magistero per una scelta di vita più sobria«: «In primo luogo, almeno in gran parte dei testi ufficiali, c’è qualche timidezza di troppo nel prendere chiaramente posizione: spesso si cercano le “colpe” senza mettere in crisi il modello su cui si fonda il nostro benessere che, però, è pure la causa di tanta parte della povertà presente sul pianeta». Ma soprattutto c’è «una netta divaricazione fra le affermazioni di principio e la vita quotidiana, c’è un adesione formale e una lontananza concreta».

Eppure quando si sceglie di provare a modificare i propri stili di vita qualcosa succede. È il caso, ad esempio, delle famiglie che hanno aderito alla campagna «Bilanci di Giustizia». L’idea è semplice: modificare secondo criteri precisi la struttura dei consumi e l’utilizzo dei risparmi familiari. Per aiutare le famiglie c’è l’invito a tenere un bilancio mensile, attraverso un modulo sul quale si annotano i consumi familiari e gli obiettivi di sostituzione di un prodotto con un altro meno dannoso: «Acquisti alle botteghe del commercio equo e solidale, detersivi biologici, uso delle biciclette al posto dell’auto, acquisto di elettrodomenstici a basso consumo energetico e che non usano i cloroflorocarburi responsabili del buco dell’ozono sono solo alcuni dei modi possibili di modificare spese e stili di vita», spiega Luca Gaggioli, responsabile regionale della campagna.

I risultati non mancano: le oltre cinquecento famiglie aderenti hanno spostato il 26% dei propri consumi da acquisti giudicati dannosi per la salute, l’ambiente e i popoli del sud del mondo, a prodotti che «non danneggiano cicli biologici o che non rappresentano uno sfruttamento ingiusto di persone e risorse naturali». E poi si risparmia: i bilanci delle famiglie aderenti hanno documentato un consumo individuale medio di circa 1,4 milioni, il 22% in meno di quanto spende una famiglia italiana media.

«Soprattutto ci guadagna la qualità della vita» spiega Gaggioli. «Di tutti e, quindi, anche la nostra: assumendo un rapporto con le cose orientato dai bisogni reali e non da quelli indotti, si finisce col rallentare i ritmi di vita dedicando più tempo alle relazioni significative e meno al lavoro».

Ma tutto questo potrebbe anche non bastare: «Serve un progetto culturale e una morale comuni e tutti siamo chiamati a costruirlo» ha spiegato Giannozzo Pucci, animatore dei «Quaderni d’Ontignano». «Al posto di un’economia della crescita ne serve una della stabilità – ha aggiunto – fondata su un rapporto stretto, quasi simbiotico, fra uomo e natura. Quindi no al modello della grande industria e della concentrazione della produzione e sì alla proprietà diffusa, artigianale e soprattutto agricola. Perché per distribuire la ricchezza è necessario, in primo luogo, distribuire la produzione».