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Se la pena è disumana

di Luciano Eusebi**Professore di Diritto penale nella Università Cattolica, Piacenza Sulla situazione penitenziaria è intervenuto pochi giorni orsono anche il Comitato Nazionale per la Bioetica, che – tra l’altro – afferma: «Il quadro obiettivo risulta di gravissimo disagio, come indicano un tasso di suicidi in carcere quasi venti volte superiore [nel 2001] al tasso nazionale e un numero impressionante di condotte autolesionistiche». La stessa garanzia immediata della salute dei reclusi appare messa in discussione, come hanno evidenziato i responsabili della sanità penitenziaria: il che richiede la messa a disposizione di risorse adeguate. Il sovraffollamento in quanto tale, del resto, ostacola in maniera drastica la garanzia effettiva dei diritti umani riconosciuti ai detenuti dalla Costituzione e dall’ordinamento penitenziario, rendendo pletorici i riferimenti al trattamento e all’impegno rieducativo.Da questo punto di vista va constatata, altresì, la carenza drammatica nel numero degli educatori e delle altre figure che fanno capo ai servizi sociali dipendenti dal Ministero della Giustizia. Né può trascurarsi di segnalare la necessità di un’attenta riflessione sul fatto che la popolazione penitenziaria risulti ormai comprensiva nella sua quasi totalità di individui caratterizzati da condizioni specifiche di grave disagio sociale (si pensi ai tassi elevatissimi di extracomunitari e di tossicodipendenti), condizioni delle quali è doveroso farsi carico anche pensando a percorsi sanzionatori nuovi.

Vi si riscontra un’obiettiva sintonia con l’analisi proposta dalla Chiesa: da un lato la presa d’atto di una situazione carceraria incompatibile con le esigenze di rispetto e di promozione della dignità umana proclamate nelle leggi, dall’altro la sottolineatura della necessità di iniziative che indichino come un simile stato delle cose non possa essere considerato normale.

Di qui la richiesta da parte della Chiesa, attraverso le parole stesse del Papa, di un segno improntato a clemenza il quale, nulla togliendo al già avvenuto giudizio di disvalore circa le singole condotte illecite, attesti che la società non è indifferente rispetto alla realtà penitenziaria; ma anche di provvedimenti strutturali – lo ribadiva martedì 28 gennaio mons. Betori – idonei a evitare il riproporsi dopo breve tempo dei problemi tamponati momentaneamente riducendo il sovraffollamento.

È un fatto che dopo aver parlato, anni orsono, di carcere della speranza, ci ritroviamo, ancor più di prima, un carcere di emarginazione e di disperazione. Eppure non si riesce a giungere a un cenno di risposta politica, il che non manca di suscitare tristezza: anche se vi sono ancora, se lo si vuole, spazi percorribili.

Tutto questo mette a nudo interrogativi di fondo: si vuol forse dire che, nonostante le leggi scritte, riteniamo di sposare un concetto di giustizia fondato, di fatto, sulla ritorsione del male? Siamo davvero disposti a dimenticare che una seria prevenzione è proprio quella che si fonda sulla capacità del diritto di tenere alti i livelli di consenso alle norme, per cui nulla ne rafforza maggiormente l’autorevolezza della sua capacità di recupero nei confronti dei soggetti stessi sottoposti a sanzione? Vogliamo davvero fare del tipo popolazione penitenziaria che ci ritroviamo l’alibi per distogliere l’attenzione dalle grandi incoerenze in termini di giustizia del nostro tempo, che minacciano davvero il futuro dell’umanità?

La Chiesa ci ricorda che l’agire e il progettare secondo il bene non è solo una questione morale, ma anche una questione di razionalità. C’è da pensare a strategie sanzionatorie nuove, che utilizzino quando possibile percorsi di recupero non detentivi e tutto il filone inesplorato ma assai fecondo della giustizia riparativa, così da consentire che nei casi stessi in cui resti inevitabile la detenzione essa abbia contenuti umanamente significativi, orientati al reinserimento sociale.

Delegittimare come buonismo il richiamo ad agire pur sempre secondo il bene sarebbe una delle operazioni culturali più sciagurate, e non solo rispetto al problema penitenziario, per la nostra società.Sei favorevole o contrario? Vai al sondaggio La schedaINDULTOÈ un provvedimento a carattere generale concesso dal Parlamento a maggioranza di due terzi, previsto, come l’amnistia, dall’art. 79 della Costituzione. Condona in tutto o in parte la pena, ma non estingue il reato. Ne possono beneficiare persone che si trovino in determinate condizioni. L’indulto è revocabile nel caso in cui chi ne ha beneficiato ricommetta lo stesso reato una volta uscito dal carcere. INDULTINOÈ stata chiamata così la proposta di legge Buemi (Sdi), Pisapia (Prc), Fanfani (Margherita) che prevede la sospensione degli ultimi 3 anni di pena per chi abbia già scontato un quarto della condanna e non abbia commesso reati gravissimi o di terrorismo. Sarà votato alla Camera il 4 febbraio. AMNISTIAÈ un provvedimento di clemenza a carattere generale. Lo concede il Parlamento con una legge da approvare con una maggioranza di due terzi dei deputati. L’effetto dell’amnistia è l’estinzione del reato, e, se c’è stata la condanna, consiste nel far cessare la pena che il detenuto in questione sta scontando. GRAZIAProvvedimento di clemenza «ad personam», ossia rivolto ad un singolo. Condona in tutto o in parte la pena e può essere concesso soltanto dal Presidente della Repubblica. IL COMMENTO DELL’OSSERVATORE ROMANO«Indulto e indultino – per non parlare dell’amnistia – sono diventati un gioco di parole svuotate di significato e di concretezza, e suonano come un’amara presa in giro per migliaia di detenuti che negli istituti di pena hanno vissuto una vana attesa». È questo l’amaro commento dell’«Osservatore Romano» alla «giornata parlamentare convulsa e scandita da bagarre nell’aula di Montecitorio» che ha rinviato la questione della concessione di un gesto di clemenza ai detenuti. «Dopo lunghe settimane di dibattiti, di proposte e di polemiche, – ha scritto il quotidiano della S. Sede – sembra tramontata la speranza di un qualsivoglia intervento per alleviare la pesante situazione delle carceri. I dissidi tra le forze politiche e le battaglie tra i gruppi parlamentari hanno di fatto vanificato gli appelli, anche i più alti e autorevoli, a trovare un accordo per compiere un gesto di buona volontà». «Non sono peraltro chiare, e forse nemmeno limpide, – prosegue l’“Osservatore Romano” – le motivazioni “politiche” dell’ennesimo rinvio, che per i più equivale all’archiviazione, di una decisione sulla sorte di persone che soffrono e che ora hanno ulteriori motivi di frustrazione e di delusione». La situazione nelle carceri al 31 dicembre 2001• Capienza delle 205 carceri 41.730• Detenuti 55.275• Condannati in via definitiva 56%• Reclusi in attesa di giudizio 13.130• Reclusi in attesa dell’Appello 7.782• Reclusi ricorrenti in Cassazione 3.405• Uomini 96%• Donne 4%• Tossicodipendenti 27,9%• Stranieri 27,9%• Reclusi per reati contro il patrimonio 25,1%• “ per droga 20,9%• “ per reati contro l’ordine pubblico 15,0%• “ per reati contro la persona 14,8• “ per detenzione di armi 7,1• Suicidi di carcerati nel 2001 70 Gli appelli del PapaQuegli Stati e quei Governi che abbiano in corso o intendano intraprendere revisioni del loro sistema carcerario, per adeguarlo maggiormente alle esigenze della persona umana, meritano di essere incoraggiati a continuare in un’opera tanto importante, prevedendo anche un maggior ricorso alle pene non detentive…Mi rivolgo con fiducia ai Responsabili degli Stati per invocare un segno di clemenza a vantaggio di tutti i detenuti: una riduzione, pur modesta, della pena costituirebbe per i detenuti un chiaro segno di sensibilità verso la loro condizione, che non mancherebbe di suscitare echi favorevoli nei loro animi, incoraggiandoli nell’impegno del pentimento per il male fatto e sollecitandone il personale ravvedimento.Giovanni Paolo II, 9 luglio 2000, Giubileo nelle carceri Senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l’impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società.Giovanni Paolo II, 14 novembre 2002, Discorso al Parlamento

Il discorso del Papa al Parlamento italiano

Guerra e indulto, i nuovi farisei (Giuseppe Savagnone)