Italia

Se le carceri scoppiano

di Federico Fiorentini

Ci sono troppi detenuti nelle carceri italiane. E il problema sono anche i tempi biblici della giustizia italiana. Presso la Fondazione «Balducci» all’interno della Badia Fiesolana (Fiesole), venerdì scorso, 14 maggio, si è svolto il convegno «Le carceri oggi», terzo e conclusivo incontro del ciclo «I volti dell’Altro nei luoghi dell’emarginazione». La relazione d’apertura è stata affidata a Marta Costantino del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), che ha fornito un accurato quadro della situazione penitenziaria italiana, presentando cifre e riflessioni sulle questioni più stringenti. Palermitana, già vicedirettore dei carceri dell’Asinara e delle Vallette di Torino, sua città d’adozione, nonché dirigente del carcere La Felicina di Saluzzo, distaccata per due anni presso l’Ufficio del Commissario antiracket e antiusura, ha partecipato inoltre a una missione UE per la ricostruzione del sistema penitenziario palestinese. Un curriculum variegato che dimostra una conoscenza diretta e approfondita della materia.

QUANTI SONO. Al 10 maggio 2010 in Italia sono registrati 67.512 detenuti, a fronte di una capienza ideale di 44.218. Erano 60.710 il 31 luglio 2006, alla vigilia dell’indulto, che ha portato uno svuotamento con un picco minimo di 38.326. Il 28 febbraio 2009 erano però nuovamente già 60.350, indicata come cifra limite, con un incremento medio di 759 unità al mese, un tasso di crescita che – pur con ovvie oscillazioni – è in linea con quello degli ultimi decenni. Per quanto riguarda la pecentuale dei detenuti rispetto alla popolazione complessiva l’Italia non si discosta dalla media europea, mentre a livello globale gli Stati Uniti detengono il primato, con quasi l’1% della cittadinanza in carcere.Ci sono troppi detenuti nelle carceri italiane. E il problema sono anche i tempi biblici della giustizia italiana. Presso la Fondazione «Balducci» all’interno della Badia Fiesolana (Fiesole), venerdì scorso, 14 maggio, si è svolto il convegno «Le carceri oggi», terzo e conclusivo incontro del ciclo «I volti dell’Altro nei luoghi dell’emarginazione».

DONNE E STRANIERI. Per quanto riguarda i rilievi demografici la detenzione femminile è limitata al 4,3%. Costantino conferma infatti che, almeno numericamente, «il carcere è un problema maschile, anche se le difficoltà per le donne derivano proprio dall’essere una quota così minoritaria, e dunque priva dell’adeguata attenzione». Mentre gli stranieri corrispondono al 37%, con un trend in aumento (un paio di anni fa erano il 33%). Per quanto riguarda il titolo di studio solo il 5,6% degli interpellati (circa la metà dell’intera popolazione carceraria) è in possesso di diploma o laurea. Il 71,9% di quanti avevano una posizione lavorativa stabile (e si tratta di una minoranza) erano operai.

IN ATTESA DI GIUDIZIO. I dati più impressionanti riguardano i detenuti in attesa di giudizio (per tutti e tre i gradi), che raggiungono il 44,3%, a riprova che «i tempi del nostro sistema giudiziario continuano a essere biblici». La percentuale, anzi, ha subito un consistente incremento rispetto all’epoca pre-indulto: l’ultima rilevazione del 2005 parlava infatti di un 36% di reclusi non ancora condannati, per quanto parte dell’aumento sia dovuto a un ricorso più frequente alla detenzione preventiva. I condannati a una pena pari o inferiore a tre anni (e che quindi potrebbero accedere a modalità alternative di detenzione) è il 65% dei “definitivi” (coloro che hanno già subito il processo). Gli internati (che comprendono sia quanti considerati socialmente troppo pericolosi, sia quelli per ragioni sanitarie) sono invece il 2,6%.

MISURE ALTERNATIVE. Altre rilevazioni poco incoraggianti vengono dal lavoro carcerario, principale strumento di integrazione sociale, che già nel 2006 impegnava solo il 30% dei detenuti, e che nel 2009 è calato fino al 22%. Anche le «misure alternative» (in primis la domiciliazione) sono scese dal 38% del 2004 al 16% del 2009, con un aumento consistente della domiciliazione interna dovuta sia alla Legge ex-Cirielli, che prevede una serie di limitazioni per i recidivi, sia alla «stretta della magistratura, sia al cosiddetto “disegno di sicurezza”, che non giova a questo genere di risoluzioni, a dimostrazione che il deficit non è solamente legislativo, ma che a monte c’è un difetto culturale».

IL PERSONALE CARCERARIO. Per quanto riguarda invece la «presunta» insufficienza di personale carcerario, i dati presentano notevo sorprese: la polizia penitenziaria conta quasi 40.000 unità, facendo registrare una carenza di 2.500 agenti sull’organico che occorrebbe. «Spesso – commenta Costantino – i sindacati arrivano a lamentare l’assenza di 7.000 posti, mentre in realtà – a parità di detenuti – vantiamo la polizia penitenziaria più numerosa d’Europa, con un rapporto che in molte carceri sfiora l’uno a uno. A quanto pare quello che mancano non sono le risorse umane, ma una corretta organizzazione del lavoro». Per quanto riguarda gli educatori, che attualmente sono 1003 (grazie alla recentissima immissione di 400 nuovi dipendenti), la carenza è di 371 unità. Infine i 1103 assistenti sociali avrebbero bisogno di 535 colleghi in più: «Il vero dramma nell’ambito del personale carcerario riguarda queste figure, dato che i due grandi concorsi di assunzione sono stati banditi negli anni Sessanta e Settanta, motivo per cui molti assistenti sociali sono alle soglie della pensione, e non sono in programma nuovi concorsi a breve termine». Costantino lamenta dunque inefficienze nell’allocazione delle risorse, che ci sono, ma vengono indirizzate in maniera opinabile. Anche il nuovo “piano carceri” viene da lei accolto con forti riserve, criticando le misure che prevedono l’implementazione dell’organico della polizia penitenziaria di 2000 nuove unità, mentre educatori e assistenti sociali non vedranno crescere il loro numero: «È la dimostrazione di una strategia che punta l’attenzione solo sui reclusi all’interno delle carceri, mentre la domiciliazione diventerà sempre più difficile, dato che il personale di riferimento per i detenuti all’esterno, già esiguo, lo sarà sempre di più».

Costruire nuovi istituti o cambiare la legislazione?«Sono convinta che le scelte in ambito penitenziario non siano altro che la conseguenza di quelle nel penale. Il fatto che i detenuti siano molti rispetto alla capienza dipende dalla decisione di chi deve andare in carcere: è su questa base che occorre determinare se costruire nuovi centri di detenzione o cambiare la legislazione giudiziaria. Se crediamo che tutti i reclusi siano tali in quanto colpevoli, non possiamo che continuare a creare luoghi nei quali non possano arrecare danno alla società». Lo ha detto Marta Costantino a conclusione del convegno sul carcere. La questione riguarda quindi lo status della popolazione carceraria, «composta da innocenti – lo siamo tutti fino alla condanna emanata dopo regolare processo –, stranieri, poveri, semianalfabeti e tossicodipendenti: le prigioni sembrano strumenti per cercare di contenere problemi sociali irrisolti al loro esterno». Il progresso del sistema penitenziario italiano passa attraverso due processi, uno «fuori» («stabilire a quali esigenze deve rispondere, qual è la nostra idea di sicurezza»), l’altro «dentro»: «la trasformazione del detenuto da un oggetto destinatario di regole a un soggetto capace di assumersi le proprie responsabilità, a un cittadino vero e proprio, chiamato a confrontarsi con altri interlocutori istituzionali oltre all’ente carcerario».