Italia

“Serve far ripartire il Paese. Ma prima la salute dei lavoratori”. Furlan (Cisl) ci dice come

“Nulla sarà come prima. Adesso è ancora presto per ripartire, la sicurezza dei lavoratori viene prima di tutto. Ma dobbiamo essere pronti”. Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, risponde a “Toscana Oggi” poco prima di collegarsi con Palazzo Chigi, per discutere con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte di come impostare la “Fase 2” dell’emergenza coronavirus.

Segretaria, come giudica i primi atti del governo sul fronte economico? Sono sufficienti per l’emergenza?

“Il Governo è venuto incontro alle nostre richieste di estendere gli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori, finanziando la cassa integrazione in deroga e le altre indennità anche per le piccole imprese. Abbiamo fatto anche un accordo importante con l’Abi: le banche anticiperanno le indennità in modo da accelerare le procedure. Nessuno, dico nessuno, deve sentirsi abbandonato in questo momento. E’ giusto dare liquidità alle nostre imprese per far fronte all’emergenza, proteggendo anche gli asset industriali e produttivi del paese. Ora occorre prepararsi per ripartire con una politica economica che faccia leva su un grande piano di investimenti pubblici. Ma tutto questo va fatto garantendo la salute e la sicurezza in tutti i luoghi di lavoro”.

Conte e l’esecutivo sono al lavoro per il cosiddetto ‘decreto aprile’, in cui hanno annunciato interventi a favore delle categorie più deboli. Cosa non dovrà mancare in questo nuovo provvedimento?

“Il Governo deve mettere in campo risorse straordinarie in grado di supportare la ripresa con investimenti massicci, che spezzino le diseconomie strutturali e diano protagonismo al dinamismo dell’incontro negoziale. Si tratta di tenere in piedi lo scudo pubblico su reddito, occupazione, liquidità d’impresa; di mettere in campo la totalità delle risorse nazionali ed europee per riallineare l’Italia agli standard infrastrutturali degli altri grandi Paesi. Ogni crisi, anche la più tragica, ha in sé l’occasione della ripartenza. Per coglierla, oggi, dobbiamo lavorare insieme”.

La situazione occupazionale, in particolare per i giovani, era già difficile prima dell’emergenza. Cosa sarà necessario fare per evitare che sia ancora più difficile trovare un lavoro? E si rischia la crescita della precarietà con un ulteriore impoverimento dei diritti dei lavoratori?

“Guardi, è chiaro che il lavoro stabile e ben retribuito dei giovani resta in cima alle nostre priorità e richieste. Dobbiamo avviare con le imprese una riflessione su come ammodernare, innovare, alcuni istituti contrattuali. Penso al bisogno di aumentare flessibilità su orari, turni, organizzazione del lavoro. Ma anche alla necessità di superare i vincoli al lavoro a termine del “decreto dignità” oggi nettamente anacronistici. Sarà inderogabile un potente investimento sulle politiche attive e andranno consolidate le politiche passive, con ammortizzatori sociali ben collegati anche alle nuove risorse europee per sostenere il reddito di tutti. Se vogliamo uscire da questa crisi dobbiamo farlo uniti, cogliendo l’opportunità di costruire modelli capaci di incrementare flessibilità e produttività, innalzando anche la partecipazione dei lavoratori alle decisioni d’azienda”.

Nel dibattito di questi giorni emerge la difficoltà di trovare un compromesso tra sicurezza e ripresa dell’attività produttiva. Dove è, per il sindacato, il punto di equilibrio?

“Abbiamo bisogno di far ripartire tutto il Paese ma in totale sicurezza per i lavoratori per non disperdere i sacrifici fatti finora. Il protocollo che abbiamo siglato con le associazioni imprenditoriali è molto chiaro: bisogna sanificare tutti gli ambienti, dotare i lavoratori dei dispositivi sanitari, mascherine, guanti, camici, affidando alla contrattazione territoriale e con le rappresentanze sindacali un ruolo importante. Bisogna assicurare che la riapertura delle aziende porti alla ripartenza del Paese, non alla ripartenza del virus o faremmo un errore tragico”.

Si parla soprattutto delle aziende medio-grandi, meno dei piccoli imprenditori e di tanti esercenti o operatori del turismo che, anche in Toscana, rischiano di essere spazzati via dalla crisi. Come si tutela questo tessuto economico ma anche sociale?

“Non ci sono territori, settori produttivi o attività economiche che usciranno indenni. Questo vale per la Toscana, ma anche per tante altre realtà regionali oggi in ginocchio. La transizione sarà lunga, e molte cose dovranno cambiare per sempre. Serve un piano Marshall europeo. Per questo la Cisl ha predisposto un Manifesto per una Europa solidale sulla scia dell’appello di Draghi. E quindi: aumentare il debito pubblico, emettere eurobond per almeno tremila miliardi per finanziare un grande piano di investimenti pubblici, costruire un bilancio comune, concordare tra Governo e parti sociali una manovra italiana di almeno 90-100 miliardi per sostenere tutte le imprese, soprattutto le piccole, tagliare le tasse, reinvestire nella sanità pubblica, nella ricerca, nell’innovazione, nelle infrastrutture materiali ed immateriali. Abbiamo tagliato 50 mila posti di lavoro nella sanità negli ultimi anni. Queste sono scelte che si pagano. Ora dobbiamo cambiare decisamente strada”.

Il Papa ha sottolineato la necessità di rivedere il modello di vita fatto di “superflue sicurezze”. L’Italia come uscirà cambiata dalla pandemia?

“Nulla sarà come prima dopo questa emergenza. Ma bisogna essere pronti a ripartire. Per questo io credo occorra ripensare anche il nostro modello capitalistico e lo stile di vita, come ha indicato anche Papa Francesco, perché avremo bisogno di più partecipazione alle decisioni, più coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte produttive delle aziende. Può diventare anche una opportunità per estendere la democrazia economica in tutti i luoghi di lavoro”.