Italia

«Sotto lo stesso cielo», da stranieri a cittadini

di Claudio Turrini

Ogni anno è una «scommessa». I giovani italiani si conoscono quasi tutti. Molti di loro frequentano l’«Opera La Pira» fin da piccoli. Sanno cos’è un «campo scuola», anche nella sua versione «internazionale». Ma quei 30 o 40 stranieri poco sanno di che tipo di esperienza si tratti. Non perché gli enti tradizionalmente partner dell’«Opera», come l’università Mgimo e l’associazione russo-ortodossa «Common cause» di Mosca, la parrocchia cattolica di S. Caterina a San Pietroburgo, la comunità ortodossa di San Pietroburgo, gli israeliani «Centro Peres per la pace» e «Interfaith» o la Custodia della Terra Santa, non spieghino ai loro giovani che cosa andranno a fare in Toscana. Ma perché è difficile far capire a parole cosa distingua il «Campo internazionale», da un meeting di giovani, da un seminario di studio, da un periodo di vacanza. Nei loro paesi d’origine esperienze simili non esistono. A questo si aggiungono «muri» da abbattere. Un palestinese che vive nel suo apartheid forzato, non può neanche capire cosa significhi far la strada verso la spiaggia con un suo coetaneo israeliano, giocare con lui, condividerne la camera e i pasti, assistere in amicizia allo Shabbat.

L’«alchimia dei cuori» che si crea giorno per giorno al Villaggio «La Vela» di Castiglion della Pescaia (Gr) è frutto della personalità di ciascuno degli oltre cento giovani partecipanti, italiani o stranieri e della loro capacità di mettersi in gioco. E questo rende l’esperienza, che ormai si ripete da tanti anni, grazie anche ad altre realtà associative toscane (Agesci, Ac regionale), alla Comunità ebraica di Firenze, alla Fondazione e al Centro Internazionale studenti «La Pira», qualcosa di sempre nuovo e diverso.

Il «Campo» (quest’anno dal 7 al 17 agosto), ci conferma Sara Borri, che lo ha diretto, si «conferma una bellissima occasione di incontro e confronto, in cui la freddezza generata da diversità apparentemente insormontabili lascia spazio al calore che solo le relazioni umane (a volte difficili da creare nei propri Paesi) riescono a sprigionare». E a riprova cita lo stupore del palestinese Gabi: «“Tu guarda me e Daniel (Israeliano, ndr)…Non avrei mai pensato che lui non guardasse a me come un terrorista e io a lui come un soldato cattivo… Qui abbiamo iniziato a guardarci come amici». Ma «il cuore del campo e il collante tra tutti i partecipanti», – prosegue Sara – sono i giovani italiani, il cui ruolo è fondamentale sia nell’accoglienza che nell’integrazione degli ospiti stranieri». «Sotto lo stesso cielo: accoglienza ed integrazione nel villaggio globale» era il tema scelto quest’anno. Coordinati dall’economista Riccardo Moro, già direttore della Fondazione Cei «Sviluppo e solidarietà», si sono alternati testimoni ed esperti, come l’economista Sebastiano Nerozzi, l’imam Izzedin Elzir, l’ex-assessore regionale Massimo Toschi, i professori Gian Maria Piccinelli e Ivan Timofeev, la giornalista di «Haaretz», Hulda Liberanome, Jean-Léonard Touadi, primo deputato italiano di colore, don Mauro Frasi e don Giovanni Momigli.

Frutto di queste riflessioni, un «documento», redatto dai giovani stessi (Documento conclusivo) nel quale richiamano le responsabilità dei governi nel «favorire l’integrazione dei migranti, attraverso principalmente l’istruzione e un sistema di welfare ridistributivo», denunciano il ruolo negativo dei media e quello della criminalità, che riduce i migranti a «schiavi moderni», ma non si nascondono che è responsabilità di tutti «affrontare il problema con proposte e impegni concreti». Una delle idee che sono emerse in questi giorni, ci sintetizza Riccardo Moro è che «tra immigrati e “indigeni” l’obbiettivo è costruire nuove identità che contengano le precedenti. E saranno i nostri figli a farlo». C’è un «diritto a migrare, a circolare», prosegue l’economista, «ma anche un diritto a rimanere a casa: le migrazioni sono normalmente forzate. I migranti cercano lontano da casa strumenti per soddisfare i loro bisogni fondamentali. Constatare la dimensione del fenomeno migratorio provoca a riflettere su come agire per tutelare in modo davvero universale i diritti: lottare contro la povertà, rendere gli obiettivi del millennio patrimonio per tutti, difendere dalle guerre». La «tradizione dell’accoglienza», ci dice ancora Moro, è comune a tutte le culture. Invece oggi «si alimenta la paura con considerazioni false: i reati sono commessi dai romeni, i bambini rapiti dagli zingari e gli extracomunitari ci rubano il lavoro. Salvo poi ricordarci di loro con le sanatorie quando abbiamo bisogno di qualcuno che ci tenga gli anziani anche durante il week end. In realtà gli immigrati non tolgono lavoro, ma occupano ruoli che gli italiani non sono disposti a svolgere e contribuiscono alle nostre pensioni. Il contributo netto degli immigrati alla finanza pubblica è positivo: pagano più di quanto ricevono».

Al Campo hanno fatto visita sia l’arcivescovo di Firenze, mons. Giuseppe Betori, che ha celebrato l’eucarestia, che l’ex premier Romano Prodi, che – come già era avvenuto negli ultimi anni – si è sottoposto per oltre tre ore alle domande dei giovani. Mercoledì 10 agosto l’intero gruppo si è recato a Castel Gandolfo per partecipare all’udienza di Benedetto XVI, che ha poi personalmente salutato oltre al presidente dell’Opera La Pira, Gabriele Pecchioli, anche alcuni giovani stranieri.

Romano Prodi ai giovani: «La politica è assente»

Lo scorso anno sono stato rimproverato di essere troppo pessimista. Invece ero stato ottimista. Nessun problema è stato risolto». Non fa sconti Romano Prodi. Sa di parlare a dei giovani, che hanno sete di speranza. Sa che su quella sedia, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, si è seduto il prof. La Pira, che non mancava mai di fare una visita a «La Vela», durante il turno dei «più grandi», ad agosto, per aiutarli a decifrare i «segni di speranza» nel mondo. Anche quest’anno ha accettato con entusiasmo l’invito a dialogare con i giovani del «Campo internazionale». Tre ore per delineare il quadro – «non roseo né ottimista, ma onesto» – del pianeta e sottoporsi al fuoco di fila delle domande. Ad ognuno risponde con estrema puntualità, alternando continuamente l’inglese e l’italiano per farsi capire da tutti.

La prospettiva scelta per l’analisi è il tema di quest’anno: le migrazioni. Lo scenario futuro, spiega Prodi, non è rassicurante. «Siamo 7 miliardi e arriveremo a 9, non a 11 come si prevedeva. Ma le previsioni di consumo sono le stesse di quando pensavamo a una popolazione mondiale di 11 miliardi, per il rapido aumento del tenore di vita. Casi come quello della carestia nel Corno d’Africa saranno sempre più normali, con guerre per il cibo e l’acqua».

Le migrazioni saranno soprattutto all’interno dei singoli Paesi. «La metà della popolazione mondiale vive in aree urbane, con conseguenze drammatiche per energia, traffico, alimentazione. Le tensioni nelle aree metropolitane saranno una caratteristica del futuro», per quel «mix esplosivo dato da popolazione giovane, con alto livello culturale, alta disoccupazione e grandi capacità comunicative».

Lo sguardo di Prodi si sposta poi sul terremoto finanziario di questa estate, un fenomeno «nuovo e inatteso», che arriva dopo 3 anni di crisi contro la quale gli Usa hanno investito 800 miliardi di dollari e la Cina 550, evitando un crollo come nel ’29. Ma questa crisi attuale, più che finanziaria è politica: «I mercati finanziari hanno ormai un respiro globale, mentre i governi rimangono locali». Questo mette in crisi le nostre democrazie che «sembrano incapaci di affrontare la situazione» e apre la strada a possibili autoritarismi. Negli Usa «democratici e repubblicani non sono stati capaci di trovare un accordo sul debito. La conseguenza è l’anticipo di dieci anni nel cambiamento della leadership mondiale tra Usa e Cina». In questo l’Europa mostra tutta la sua debolezza: «nessuno avrebbe mai attaccato un paese europeo, se ci fosse stata solidarietà. L’euro, a causa delle nostre divisioni, è diventato una moneta debole». Ma nonostante tutto – sottolinea Prodi – non c’è un’alternativa allo stare insieme. Non se lo può permettere nessuno di marciare da solo, neanche la Germania, che è diventata forte dopo l’euro.

La debolezza politica dell’Unione «emerge anche guardando a cosa è successo in Nord Africa. Abbiamo esultato per quello che è successo, ma non abbiamo fatto nulla per aiutare questo processo. L’unico intervento ha riguardato la Libia e dopo 4 mesi non capiamo chi sono i buoni e chi i cattivi e perché la guerra sia cominciata». Prodi è preoccupato soprattutto per l’Egitto e la sua fragile rivoluzione democratica. Nel lungo dibattito tornano i temi della guerra in Libia, del Medio oriente, delle politiche sull’immigrazione, del futuro dell’Europa e della Russia (definite come la «vodka e il caviale», per dire che devono stare insieme). Qualcuno lo interpella anche sul futuro del nostro Paese. E anche qui la risposta non concede facili speranze. La crisi politica c’è, ma Prodi non vede grandi spiragli né la possibilità di ritornare in campo.

Documento conclusivo del Campo internazionale 2011