Italia

Spi-Cgil: strutture per anziani, «molto costose e poco trasparenti»

Su 4mila strutture analizzate in tutta Italia, infatti, è emerso che solo il 14% sono pubbliche e gestite direttamente dai Comuni, dalle associazioni o consorzi ad essi legate, da Aziende sanitarie o da Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP). Il restante 86% sono invece gestite da privati, enti religiosi, Onlus, Fondazioni e cooperative. A livello economico convengono le strutture pubbliche, le cui rette massime nel 46% dei casi non superano i 60 euro al giorno (circa 1.800 euro al mese). In quelle private invece la spesa economica da sostenere è più elevata e può arrivare (nel 39% dei casi) oltre gli 80 euro giornalieri (circa 2.500 euro al mese). Tra quelle private quelle più costose sono quelle riferite all’area profit (54% ha rette superiori agli 80 euro giornalieri), seguite da quelle gestite da cooperative, dalle Fondazioni e dagli enti religiosi.

Più basse le rette nelle strutture gestite da Onlus e da Associazioni. Le rette massime riguardano principalmente le strutture che si occupano di persone non autosufficienti e le strutture di grande dimensione, basse solo nel 17% dei casi mentre nel 45% superano gli 80 euro giornalieri. Il 74% delle strutture residenziali per anziani ospita anziani totalmente o parzialmente non autosufficienti. Sono solo il 6% invece quelle che ospitano anziani autosufficienti mentre il 20% non specifica la tipologia dei suoi ospiti. Si tratta principalmente di strutture di medio-piccola dimensione. Oltre l’80% infatti non ha più di 100 posti letto (il 10% fino a 20, il 33% ne ha tra i 20 e i 50, il 38% tra i 50 e i 100). Solo il 19% ha oltre 100 posti letto.

Non tutte le tipologie di strutture residenziali forniscono informazioni ai propri assistiti o alle loro famiglie circa i servizi da esse erogati. Se il 68% comunica informazioni sul personale impiegato e il 77% ha un sito web sono solo il 38% quelle che pubblicano la Carta dei servizi. Va decisamente meglio in quelle pubbliche, che nell’86% dei casi danno informazioni più o meno dettagliate. Nel privato maglia nera agli enti religiosi. Poco più della metà di quelli che gestiscono strutture residenziali per anziani (il 55%) fornisce informazioni a fronte del 68% delle cooperative, il 69% delle aziende private di mercato, il 76% delle Onlus e il 74% delle Fondazioni.

Un fenomeno fortemente in crescita è quello delle case famiglia e delle strutture a carattere comunitario. Nel primo caso possono ospitare fino a 6 persone mentre nel secondo fino a 20. Per avviare questa particolare attività commerciale basta una semplice dichiarazione (la Dia) e non c’è bisogno di una autorizzazione preventiva al funzionamento. In questo modo anche persone senza competenze e conoscenza del settore dell’assistenza socio-sanitaria agli anziani possono aprire e gestire una struttura residenziale. Le tariffe sono fuori controllo. La competizione fra case famiglia può infatti generare fenomeni di bassa tariffazione a cui però corrisponde l’erogazione di servizi di bassa qualità.

«La prossima legislatura dovrà mettere al centro della propria agenda il tema della non autosufficienza e dell’assistenza socio-sanitaria delle persone anziane», chiede lo Spi-Cgil. «In particolare- sostiene il sindacato – è indispensabile una legge nazionale che punti innanzitutto a fornire un punto di riferimento certo, in grado di valutare con la persona o con la sua famiglia quali sono le prestazioni e i servizi più idonei ad affrontare la condizione di non autosufficienza; che eroghi servizi e prestazioni di qualità riducendo le distanze che oggi esistono tra Nord e Sud ma anche all’interno delle stesse Regioni; che sia adeguatamente finanziata e che sostenga veramente le famiglie evitando che la prospettiva di avere un parente non autosufficiente incomba come una minaccia per il futuro».