Italia

Stato sociale più debole

di Andrea BernardiniDove va il welfare in Italia? Ne ha parlato monsignor Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Zancan di Padova e già direttore della Caritas italiana, invitato a Pisa dalla diocesi ad un incontro su «politiche sociali, valori in gioco e ruolo della società organizzata». Pasini ha individuato alcuni nodi da sciogliere per trovare risposta alla domanda iniziale. Il primo: l’impatto della riforma Costituzionale del titolo quinto sul destino delle politiche assistenziali. «Oggi – ha osservato il presidente della fondazione Zancan – l’assistenza sociale è di piena competenza legislativa regionale, mentre il tema della tutela della salute entra nella sfera delle materie concorrenti, nelle quali legiferano sia lo Stato che le Regioni. Questo significa che per interventi e servizi sociali, si potranno creare situazioni concrete di regioni ricche e di serie A e di regioni povere di serie B e C, per cui non varranno più i principi fissati nella legge quadro 328/2000. Mentre per la sanità – materia concorrente – le regioni dovranno sottostare ai principi fissati dal legislatore statale».

C’è una «sperabile» valvola di sicurezza, che dovrebbe salvaguardare il necessario contesto unitario, anche in materia di assistenza, almeno per i livelli essenziali, ha osservato monsignor Giuseppe Pasini: «Il comma “m” dell’art. 117 afferma che spetta allo Stato “determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Ma lo Stato non ha potere di monitoraggio e di intervento in caso di dubbio rispetto dei livelli essenziali e l’eventuale conflitto va risolto con ricorso alla Magistratura (TAR). E comunque tutto è legato alle risorse disponibili».

Già, le risorse disponibili. «Lo Stato – ha osservato il sacerdote – ha ridotto i flussi finanziari diretti alle Regioni e quindi ai Comuni che hanno la diretta competenza in materia assistenziale. L’Anci, in particolare (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha denunciato, nella Finanziaria del 2004, un taglio di fondi destinati ai comuni pari a meno 3% in media; le Regioni a loro volta hanno denunciato una riduzione del fondo per le politiche sociali pari al 29% dell’anno precedente, e a una riduzione del fondo per la difesa del suolo pari al 76%. Globalmente il taglio equivale a meno 300 euro per persona».

Eloquente – ha osservato Pasini – nella sua gravità è il quadro di riduzioni dei vari fondi assistenziali: «una riduzione del 60% rispetto all’anno precedente per le politiche migratorie, una del 30% verso la famiglia, una del 60% nella lotta alla povertà e alla esclusione sociale, una, infine, dell’80% nella cura dei soggetti con handicap».Un aspetto, oggi trascurato, riguarda il rapporto con i popoli in via di sviluppo. «Nella Finanziaria 2004 – ha osservato monsignor Pasini – il taglio per i fondi destinati alla cooperazione internazionale è stato di 518 milioni di Euro. Questa decisione costituisce un rinnegamento dell’impegno assunto dal Governo italiano di aumentare il contributo di questo settore portando l’attuale 0,19 allo 0,27% del PIL. I fondi tagliati alla cooperazione, sembra siano stati destinati a sostenere imprese che investono all’estero».

Se il Welfare si sta indebolendo, com’è percepito questo aspetto dalle fasce più deboli? «Oggi – ha commentato il presidente della fondazione Zancan – permane una fascia di popolazione che vive sotto la linea di povertà, valutabile intorno ai sette milioni di cittadini. La legge 38/2000 aveva stabilito una formula di contrasto alla povertà, da attuare attraverso il reddito minimo di inserimento (Rmi) che puntava a superare la forma assistenziale e ad assicurare alle persone in stato di povertà un itinerario di accompagnamento, per favorire un loro reinserimento sociale e lavorativo. Il Rmi fu avviato a titolo sperimentale in alcune regioni. Era previsto, in seconda fase, che il progetto si sarebbe esteso a tutto il territorio nazionale. La fase di sperimentazione non ebbe, in realtà, un esito molto positivo, a causa della impreparazione delle amministrazioni comunali. C’era l’esigenza pertanto di alcuni correttivi, ma l’impostazione appariva corretta, perché finalizzata alla promozione umana. Il nuovo governo ha abbandonato questa prospettiva. Il “Libro bianco” sul Welfare parla, in alternativa, di un “Reddito di ultima istanza” non ben precisato nella sua identità, destinato alle forme più gravi di povertà, e che dovrebbe essere finanziato in gran parte dalle Regioni e integrato dallo Stato. La decisione di adottarlo dipende dalle Regioni stesse. La Finanziaria del 2002 ha introdotto una maggiorazione delle pensioni minime Inps, portandole da 412,18 Euro a 516,46 euro. Dei sei milioni di potenziali aventi diritto a questa integrazione (quanti cioè hanno un reddito inferiore a 6.836 euro l’anno, tredicesima compresa), solo due milioni di persone ne hanno approfittato, secondo le dichiarazioni del ministro Maroni. In conclusione l’enclave di povertà è rimasta pressoché immutata».

Aumenta il numero di chi si rivolge alla CaritasUn aspetto nuovo e più inquietante di questi ultimi due anni – ha osservato monsignor Pasini – riguarda la fascia degli “impoveriti”, cioè delle persone con un reddito superiore alla linea della povertà, ma che non solo non riescono più a risparmiare, ma hanno anche difficoltà crescenti a coprire i costi ordinari della vita familiare. Un segnale di questo fenomeno proviene dal numero crescente di persone che accedono agli organismi assistenziali e alle Caritas (mense, medicinali, abiti usati)». Quali le cause? Per monsignor Giuseppe Pasini «la riduzione dei flussi finanziari provenienti dallo Stato e diretti alle Regioni e quindi ai comuni, che hanno la diretta competenza in materia assistenziale, l’aumento del costo della vita. Per quanto riguarda la sanità ha pesato il cambiamento del sistema di pagamento dei medicinali: molte medicine che in passato erano sotto il regime del tiket, ora sono totalmente a carico dell’acquirente. Inoltre per le visite specialistiche e per tante analisi, i pazienti, passando attraverso le Asl, devono attendere tempi lunghi. Per evitare danni comprensibili, molti sono costretti a ricorrere al mercato. Così chi ha soldi viene curato presto e bene, gli altri devono affidarsi alla Provvidenza. Nei fatti, in materia di sanità, siamo già entrati nel sistema selettivo».