Italia

Stragi nel Mediterraneo. Don Ciotti: «Una maglietta rossa per chiederci che cosa abbiano fatto della nostra umanità»

«Il primo passo è la commozione, il secondo l’indignazione, il terzo il disgusto che fa alzare la voce e intraprendere l’azione» e «oggi più che mai c’è bisogno di alzare la voce». È un fiume in piena don Luigi Ciotti, fondatore e presidente nazionale di Libera e del Gruppo Abele, mentre ci parla dell’iniziativa che ha lanciato domenica scorsa chiedendo d’indossare oggi (7 luglio), vigilia del quinto anniversario della visita del Papa a Lampedusa (8 luglio 2013) una maglietta rossa, lo stesso colore delle magliette dei bambini che muoiono nel Mediterraneo cercando di raggiungere una terra promessa e che a volte il mare riversa sulle spiagge. Lo abbiamo incontrato a margine della Conferenza internazionale «Saving our common home and the future of life on earth» promossa il 5 e 6 luglio in Vaticano, nel terzo anniversario dell’enciclica Laudato si’, dal Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, alla quale ha partecipato.

«Domenica scorsa – racconta don Ciotti – un giornalista palermitano, Francesco Viviano, mi ha chiamato per dirmi che aveva postato su Facebook un messaggio al quale però nessuno prestava attenzione e mi ha chiesto di dargli una mano. Io sono piccola cosa ma ho deciso di aiutarlo per richiamare l’attenzione su un problema che deve coinvolgere tutti: quello dei migranti e delle morti dei bambini in mare. Molte mamme li vestono di rosso per la traversata perché in caso di naufragio siano più visibili ai soccorritori. Di rosso era vestito Aylan, il bimbo di tre anni la cui foto nel settembre 2015 ha fatto il giro del mondo suscitando commozione e indignazione. Di rosso erano vestiti i tre bambini annegati l’altro giorno davanti alle coste libiche. Ma non basta commuoversi: le emozioni devono trasformarsi in sentimenti profondi e suscitare senso di responsabilità per collaborare con le istituzioni o essere una spina nel fianco se non fanno quello che devono fare pretendendo ciò che è giusto e dovuto».

Qual è il significato di questo gesto?

«Indossare la maglietta rossa vuol dire mettersi nei panni di tanti migranti: un appello a fermarci, a smettere di guardarci nello specchio dei nostri problemi per chiederci: che cosa abbiamo fatto della nostra umanità? C’è un deficit di umanità e la via per colmarlo è fatta di relazioni e conoscenza: due strade comunicanti, spesso intrecciate ma oggi poco percorse. C’è inoltre una paura sulla quale dobbiamo interrogarci: la paura del diverso, dello straniero, una tra le più pericolose perché può generare ciò che stiamo toccando con mano in questi giorni: ostilità, aggressività, addirittura, odio. Ma le radici dell’odio risiedono nell’ignoranza: occorre riconoscersi e riconoscere l’altro».

L’immigrazione è una sfida cruciale: è approdata anche qui in Vaticano dove si è parlato di cambiamenti climatici e del loro impatto sulla natura e sul creato.

«Sì. Il Papa, in questi giorni, ci ha ricordato che disastri ambientali e disastri sociali non sono diversi: vengono tutti da un’unica crisi: il grido del povero è il grido della terra. Che cosa vogliamo essere: una società aperta, giusta, accogliente o vogliamo diventare una società chiusa, diffidente, animata da paura e aggressività? Da che parte vogliamo stare? In queste giornate una persona ha posto una domanda strategica: “Chi siamo noi per accettare tutto quello che sta venendo sulla faccia della nostra terra?”. Come possiamo restare indifferenti, sia rispetto a quello che succede nel mondo delle migrazioni, sia di fronte alla fatica e alle povertà estreme di tanta gente del nostro Paese? Da 53 anni vivo con i poveri: occorre prendere la parola quando loro muoiono mentre l’Europa gioca a scaricabarile sull’immigrazione, quella stessa Europa che però ha anche diverse colpe: le migrazioni sono in gran parte deportazioni indotte».

Che vuol dire?

«Nessuno abbandona terra, casa, affetti se non è costretto da guerre, povertà o disastri ambientali. Di molti di questi conflitti e disastri siamo noi i responsabili. Dobbiamo fermarci, analizzare, denunciare. Nel nostro Paese la gente vive condizioni di difficoltà che la portano a vedere l’altro come un nemico. Servono interventi seri perché 5 milioni di italiani assoluti sono una cifra enorme e i tanti giovani che non studiano e non lavorano sono un grido che deve essere accolto in casa nostra, ma questo non ci autorizza a chiudere le porte a chi bussa per entrare. In Italia c’è bisogno di giustizia sociale, di interventi concreti, ma non dobbiamo dimenticare la storia di molti dei nostri nonni e bisnonni migranti per il mondo. Celebrando il 6 luglio la messa in San Pietro con un gruppo di migranti per ricordare le tragedie del mare, Francesco ha detto parole forti e così chiare alla politica perché si assuma fino in fondo la propria parte di responsabilità, ma ha ammonito anche a noi di non farci complici con il nostro silenzio».

Tonino Bello sosteneva che bisogna alzare la voce quando molti scelgono un prudente silenzio.

«Sì, e mai come in questo momento dobbiamo alzare la voce perché viene calpestata la libertà e la dignità di molte persone. L’immigrazione non è un reato perché non può essere un reato la speranza di chi cerca una vita migliore. Papa Francesco invita le nostre comunità a essere aperte, ad andare incontro alle fragilità e alle fatiche. Ma non bisogna limitarsi a risposte emotive: bisogna muoversi».

Anche lei oggi indosserà una maglietta rossa?

«L’ho già fatto e la mia foto sta girando sui social. Ho provato un po’ di imbarazzo, ma poi mi sono detto: deve essere un segno. E infatti stanno arrivando alle redazioni di tv e giornali foto di persone o di gruppi e associazioni scattate in tutta Italia: da Marsala ai quasi 3mila metri del rifugio Chivasso sul Gran Paradiso. Oggi tuttavia non basta più indignarsi, anche l’indignazione è diventata di moda. Bisogna provare un senso di disgusto – e il disgusto è l’ultima risorsa dell’intelligenza umana – per quanto sta accadendo. Non si può giocare sulla pelle della gente, né la gente di casa nostra né chi viene a cercare dignità, lavoro, pace. A problemi globali si risponde con soluzioni globali. Come ricorda il Papa siamo tutti membri della stessa famiglia umana».