Italia

Stupro, una sentenza che è una nuova offesa

Una decisione “grave”, “un grosso passo indietro” in termini di legislazione minorile che sul piano culturale ripropone “un prototipo arcaico” di sapore medievale, segno di “una mentalità dura a morire” che sembrava invece superata grazie alle due recenti riforme in questo campo. È il parere di PIERCARLO PAZÉ, direttore della rivista “Minorigiustizia”, alla sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione, che ha giudicato di “minore gravità” uno stupro nei confronti di una quattordicenne, in quanto quest’ultima aveva già “avuto rapporti sessuali”.

Con la sentenza 6329, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un quarantenne, con un passato di tossicodipendenza, condannato in primo grado dal Tribunale di Cagliari (30 novembre 2001) a tre anni e quattro mesi di reclusione per violenza sessuale e minacce nei confronti della figlia quattordicenne della sua convivente. Una sentenza “inaccettabile”, “incomprensibile”, “che lascia interdetti”: questi alcuni commenti dal mondo delle istituzioni, della politica, degli esperti e dell’associazionismo al pronunciamento della Consulta, mentre si annunciano “mobilitazioni” di vario genere sul fronte femminile. L’agenzia Sir ha rivolto alcune domande all’esperto di giustizia minorile.

Si può parlare, in caso di minori, di vittime “di serie A” e vittime “di serie B”?

“I giudici hanno considerato delle attenuanti alcuni eventi che non possono essere considerati tali, come il fatto che la minorenne abbia purtroppo avuto esperienze sessuali troppo precocemente, mentre non hanno considerato come aggravanti tutta una serie di fattori: a partire dall’età della bambina, che non è una donna ormai persa, e oggi fortunatamente si è tirata fuori da una situazione così brutta. Proprio tale degrado familiare costituisce un’altra aggravante, visto che la bambina lo stava vivendo male, come dimostrano anche le relazioni sessuali anticipate e il cattivo rapporto con la madre; c’è poi l’abuso dell’autorità, tipico di questo tipo di convivenze familiari. Senza contare il capovolgimento stesso delle modalità del rapporto sessuale, per il quale la minorenne si è trovata costretta ad optare, e che ha dato luogo ad una situazione ancora più violenta del rapporto sessuale completo”.

Il suo è dunque un invito a mettersi dalla parte delle vittime…

“La gravità di una situazione va valutata dalla gravità delle conseguenze che ha subito la persona. Nella sentenza in questione, invece, ci si è soffermati esclusivamente sulle conseguenze fisiche dello stupro, ignorando quelle psicologiche, molto gravi e sempre a lungo termine, che avranno forti ripercussioni negative sulla futura affettività della ragazza. Le violenze subite a 8, 10, 14 anni producono un danno istantaneo paradossalmente minore rispetto al danno che si elaborerà nel futuro, nella propria vita di relazione familiare, quando viene il momento di integrare il rapporto con l’altro ad un livello affettivo-relazionale di tipo paritario. In questo contesto, si capisce il coraggio che ha avuto la ragazza, allora quattordicenne, della denuncia: un coraggio che nello stesso tempo testimonia la gravità di ciò che ha subito. Le violenze in famiglia hanno, infatti, una gravità addirittura maggiore rispetto a quelle subite dall’esterno: umiliano di più la persona, che ha meno libertà in un contesto del genere, e sono più devastanti per le conseguenze psicologiche”.

Non c’è il rischio, però, che le donne perdano il “coraggio della denuncia”, a causa di un tipo di “cultura” che sembrava sconfitta una volta per tutte?

“Certamente è un segnale preoccupante, in ambito minorile, il fatto che nella sentenza della Corte gli elementi aggravanti citati prima, che qualunque giudice dovrebbe considerare tali, siano stati sottaciuti a favore di un prototipo arcaico, di stampo medievale, che stabiliva che chi stuprava una vergine doveva pagare una certa ammenda, mentre l’ammenda era di molto inferiore per chi avesse violentato una ragazza che non possedesse tale requisito. Una mentalità dura a morire, questa, che sembrava finita con la nostra legislazione. Le modifiche del 1996, ad esempio, che hanno cancellato la norma per cui quando un minore era già moralmente corrotto non c’era violenza, in quanto il soggetto in questione era comunque destinato a perdersi, hanno rappresentato un passo culturale enorme: con questa sentenza torniamo indietro, proprio perché povera di elaborazione culturale, di pensiero, di attenzione al minore”.

Come agire sul versante culturale e su quello dell’aiuto psicologico?

“La protezione del minore non dipende tanto dalla quantità della pena, dalla maggiore o minore gravità di essa. La legislazione, tuttavia, induce sempre a un cambiamento culturale: di qui la necessità di una terapia contro la violenza, in termini anzitutto di educazione all’affettività come rispetto dell’altro. I servizi sanitari e psicologici dovrebbero invece prendersi maggiormente a carico le vittime, restituendo loro la dignità di persone attraverso un tempo dedicato all’ascolto. Un compito, questo, che anche i Consultori familiari potrebbero svolgere, accanto all’altrettanto importante opera della mediazione familiare”.a cura di M.Michela Nicolais