Italia

Terremoto Ischia: mons. Lagnese (vescovo), «un anno dopo ancora 2.600 sfollati senza casa»

«Circa 2.600 sono ancora gli sfollati: molti di loro alloggiano temporaneamente presso case di parenti e amici o presso abitazioni avute in locazione e, numerosi, a tutt’oggi 350, quelli che si trovano a vivere nelle strutture alberghiere; e – è ciò che più ci rattrista – senza peraltro avere la minima idea di ciò che li aspetta e senza sapere – quando e dove – potranno avere anche loro nuovamente una casa». Lo ha detto il vescovo di Ischia mons. Pietro Lagnese nell’omelia della Messa che ha celebrato ieri sera nella chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio, a Casamicciola, un anno dopo il sisma che ha colpito l’isola. Dopo aver ricordato le vittime e i loro familiari, il presule ha auspicato, «da parte di chi ci governa», «scelte operative e fatti concreti al fine di vedere il nostro territorio ritornare a vivere nella consapevolezza che Ischia, con la sua vocazione turistica, possa ancora essere motivo di lavoro e di benessere per i suoi abitanti».

Mons. Lagnese, però, avverte «una sorta di scoraggiamento sul volto degli isolani» e, in particolare, «delle popolazioni colpite dal sisma», uno scoraggiamento che «a volte si trasforma in disincanto e sfiducia». Un sentimento causato, a suo avviso, «dagli evidenti ritardi nell’avviare l’opera della ricostruzione ma anche a motivo della manifesta lentezza nel fornire dati e indicare prospettive ed indirizzi di lavoro».

Quindi, un invito alle «autorità di Governo e a quanti sono deputati a gestire il prossimo futuro»: «Attivarsi prontamente per una celere ricostruzione degli edifici distrutti e per un sicuro restauro dei tanti fabbricati coinvolti, affinché a quanti hanno perso la casa, sia offerta al più presto una dignitosa e stabile abitazione». L’auspicio è quello che «la ricostruzione delle zone interessate dal sisma avvenga in maniera rapida», perché «una ricostruzione lenta – mi pare di poter dire – è già una cattiva ricostruzione; ma soprattutto avvenga anche con il coinvolgimento della gente e non si operi sulla testa degli isolani».