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Toccafondi. «Nei libri sul gender una lettura partigiana della realtà»

Nella sua prolusione ai lavori del Consiglio permanente della Cei, il presidente cardinale Angelo Bagnasco tra i vari argomenti affrontati ha anche parlato della cosiddetta «teoria del gender» con la quale si cerca nelle scuole italiane di «instillare nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre…». Ha poi definito il «gender» «una vera dittatura che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come astrazione». Sull’argomento il Sir ha intervistato il sottosegretario al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), Gabriele Toccafondi.

Sembra che i temi del «gender» e delle associazioni Lgbt, incaricate dall’Unar per la campagna sul «contrasto alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale», non smettano di fare capolino nelle cronache. Che dire di quanto sta avvenendo?

«La scuola e i nostri ragazzi hanno bisogno di tante cose per migliorare la situazione, ma di una cosa la scuola non sente affatto bisogno, ovvero quella di diventare luogo di scontro ideologico. La lotta ad ogni discriminazione è doverosa e va combattuta nelle scuole insieme ai ragazzi e ai loro genitori, ma nessuno può utilizzare la lotta alla discriminazione per portare altro. Inoltre ritengo che ogni qualvolta sia interessata l’educazione siano da coinvolgere i genitori o le rappresentanze dei genitori all’interno della scuola. I genitori, anche per la nostra Costituzione, hanno il diritto-dovere di educare i propri figli e devono sapere che cosa entra nelle loro classi. La Costituzione sancisce un patto educativo tra la scuola e i genitori, scavalcarlo non aiuta nessuno».

Qual è la visione del ministero e sua, come sottosegretario, su queste tematiche così delicate?

«Personalmente sono fermamente convinto che affrontare una materia così delicata richieda una particolare attenzione ai contenuti e al linguaggio utilizzati, a maggior ragione visto che si rivolge a ragazzi di tutte le fasce di età. Su questi temi – l’educazione alla sessualità e all’identità – il compito primario spetta alla famiglia, e non può essere nessun altro istituto educativo, neppure la scuola, a imporre una sua visione, a maggior ragione se orientata in senso ideologico e unilaterale, come i libri più volte richiamati, i quali oltre a presentare una lettura ‘partigiana’ della realtà, discriminano a loro volta – come più associazioni hanno sottolineato – le persone ‘religiose’ e ‘credenti’, considerate più propense all’omofobia proprio in ragione della loro religiosità».

L’Unar risulta essere una struttura a questo punto molto discussa e discutibile. Il suo direttore è stato oggetto di un richiamo formale da parte del precedente governo. Come valuta le scelte operative assunte nel recente passato e quali orientamenti intende dare al rapporto del ministero con l’Unar per il futuro?

«Ribadisco un aspetto che ho già evidenziato, il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall’Unar e diffusi nelle scuole senza l’approvazione del dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il ministero dell’Istruzione ne sapesse nulla, è molto grave. Chi dirige l’ufficio, dovrebbe spontaneamente trarne le conseguenze. Per quanto riguarda il futuro, a prescindere dalla posizione del direttore di Unar, credo sia fondamentale da parte del governo e del ministero a cui fa riferimento fare chiarezza: occorre che questo ufficio abbia un ruolo e funzioni chiare. Ad oggi, mi sembra che ci sia solo confusione: un ufficio amministrativo che si auto-crea delle linee guida nazionali, con quelle entra nei vari ministeri, tra cui il Miur, con protocolli vari e da lì verso uffici pubblici, tra questi anche le scuole, direttamente a insegnanti, dirigenti scolastici e ragazzi. Il tutto senza che il governo, il dipartimento delle Pari Opportunità, il Miur e soprattutto i genitori ne sappiano niente».

È possibile ipotizzare che invece della linea che si è mostrata finora, di una sorta di «indottrinamento» monodirezionale da parte delle associazioni Lgbt, si arrivi alla presenza dei rappresentanti delle associazioni familiari agli incontri nelle scuole?

«Penso ci sia semplicemente più bisogno di utilizzare la ragione e il realismo che nuove leggi, per non arrivare a un uso ideologico delle scuole. Ribadisco che la lotta alla discriminazione è fondamentale, ma sbaglia chi la usa per portare dentro le scuole altro. Tutto quanto detto riguarda soprattutto i genitori e gli insegnanti ovvero i due attori di un ‘patto educativo’ che è la base dell’educazione. La più grande testimonianza o il più grande aiuto che i genitori possono dare anche rispetto a quanto sta avvenendo si ha tramite azioni concrete che testimoniano l’irragionevolezza di questa campagna. Come la mamma milanese che si è rifiutata di apporre la sua firma sul modulo che la indicava come ‘genitore 1′, cancellando la scritta del modulo e aggiungendo ‘mamma’. Contro l’ideologia serve una presa di posizione personale».