Italia

Venti di crisi sulle democrazie europee

DI JEAN-DOMINIQUE DURANDDa un’elezione all’altra, da un paese all’altro, ciò che è stato durante molto tempo un’ipotesi, oggi viene confermato: la democrazia in Europa, a lungo modello, luce e speranza per i popoli imprigionati, conosce una crisi preoccupante. Si tratta di una crisi di languore, di decadenza provocata da una paura irrazionale dell’avvenire da parte di popoli ricchi, prosperi, in buona salute economica ma che hanno perduto il senso della collettività; si traduce immediatamente attraverso il voto, un voto che diventa sempre più un’espressione della contestazione, a favore degli estremi.

Tale crisi deve essere presa sul serio perché non è senza precedenti: anche se le condizioni storiche sono radicalmente diverse, la crisi degli anni Venti resta nella memoria per ricordare quanto la democrazia sia un bene prezioso e fragile, e che è mortale, che una sua malattia può provocare soltanto una disgrazia e che nessuna nazione, anche di grande tradizione democratica è al riparo della tentazione di una scelta deviante.

Quali sono i sintomi della crisi? Questa si manifesta attraverso segni diversi. Senza volere stabilirne un elenco completo, si può notare, in opposizione a un sistema politico che si vuole anzitutto come una costruzione collettiva e solidale, l’esacerbazione dell’individualismo fino ad una moltiplicazione delle candidature, particolarmente estremiste e di protesta, ad ogni elezione con la dispersione conseguente dei voti: i sociologi della politica hanno osservato l’irruzione nel voto di un vero consumismo e parlano di uno «zapping» elettorale il cui risultato è l’attaccamento debole a una famiglia politica. Jacques Maritain definiva la democrazia come un «vivere insieme»: «Vivere insieme – scriveva in “L’uomo e lo Stato” (1953) – significa partecipare in quanto uomini, e non come un bestiame, cioè in virtù di una libera accettazione fondamentale, a certe sofferenze comuni e ad un certo compito comune». Questo doppio sentimento di appartenenza sembra oggi la cosa meno condivisa dagli abitanti dell’Europa.

La crisi si alimenta anche da un indebolimento dell’attenzione che i cittadini concedono ai problemi comuni, alla cosa politica, nel senso nobile della parola, cioè all’interesse pubblico e al bene comune, a favore degli interessi privati. Tale indebolimento alimenta il ripiegamento su se stessi e la paura: paura dell’Altro, paura dello Stato, paura dell’Europa, paura del mondo, paura di tutto e favorisce i politici populisti che invece di costruire dei grandi progetti e di vararli, esacerbano ed esaltano le questioni locali, invece di fare appello all’intelligenza, sollecitano l’istinto e la paura invece della fiducia e della serenità. La crisi è mantenuta anche dall’irresponsabilità della stampa, particolarmente dalla televisione le cui immagini hanno assunto un peso singolare: sottolinea quasi sistematicamente le cose negative, ignora ciò che è positivo e mantiene così un clima di timore e di rancore per non dire di rabbia.

Ma la democrazia soffre anche per i suoi uomini, per gli elettori che sono così poco dei cittadini responsabili ed impegnati, come per gli eletti che hanno cambiato poco a poco il senso profondo dell’impegno democratico, hanno troppo spesso fatto della politica un vero mestiere e hanno dimenticato che è, o dovrebbe essere anzitutto un servizio.Qui si apre la strada che può portare al rinnovamento della democrazia e al ristabilimento dei valori democratici: il ritorno ad un concetto della politica, come lo chiamava Luigi Sturzo, come servizio a ciò che implica un’attenzione particolare ai problemi della comunità. «La Repubblica ha bisogno di virtù» diceva Montesquieu nel Settecento. Tale osservazione è stata perduta di vista. Così i responsabili hanno troppo spesso dimenticato che l’azione politica ha il dovere di aprire delle strade, di tracciare delle prospettive, perché la nazione nel suo insieme possa riunirsi con se stessa.

La questione della costruzione europea è da questo punto di vista esemplare: si è arenata nei regolamenti tecnocratici, probabilmente necessari ma a detrimento degli orientamenti esaltanti voluti dai padri fondatori negli anni Cinquanta. Qui risiede il valore della politica. Attraverso questa strada la democrazia può uscire dalla crisi. «Duc in altum»: l’espressione si applica anche all’insieme della società civile.