Italia
Vita dura per chi nasce a Betlemme
Le Francescane Elisabettine di Padova che gestiscono a Betlemme il Caritas Baby Hospital (e che hanno contatti con diverse realtà anche della Toscana) ci hanno inviato una lunga corrispondenza sulla difficile situazione della città che vide la nascita di Gesù. Dal lungo testo, che si intitola «Perché trattate così Betlemme?» abbiamo tratto alcuni passaggi significativi.
Il Baby Hospital è un interessante punto di osservazione per capire la realtà di Betlemme. Le difficili condizioni in cui vivono tante famiglie, specie nei villaggi, pongono i bambini in una situazione di forte rischio di malattie. La disoccupazione tocca livelli altissimi e si fa sentire sempre più con il carico di problemi a livello umano che inevitabilmente porta con sè; il marito disoccupato diventa «un figlio in più» da gestire, con un peso moltiplicato per la donna, non raramente soggetta ad una vita priva di dignità: in molti casi, sfinita dalle continue gravidanze, la donna partorisce figli deboli e bisognosi di urgenti cure mediche. Le condizioni igieniche precarie, in particolare la scarsità di acqua, rendono ancor più fragile lo stato di salute dei bambini.
Le statistiche del nostro ospedale parlano chiaro: 3.500 ammissioni in un anno e circa 30 mila bambini seguiti negli ambulatori (100 al giorno). Gli spazi di attesa sono pieni di voci, di strilli, di grida ma sono ormai diventati stretti e affollati. Stranamente ci sono anche giorni silenziosi e troppo tranquilli: sono i giorni in cui le maggiori restrizioni alla libertà di movimento e blocchi militari impediscono l’accesso a Betlemme, e i genitori non possono accompagnare all’ospedale i loro bambini bisognosi di cure.
«La situazione è davvero brutta», continua a dire la gente, «non può andare peggio di così», ma se paragonata a Gaza, «visitata» fin troppo spesso dagli F16, a Betlemme si può almeno sopravvivere, anche se le incursioni dei soldati israeliani fin dentro la città sono quasi giornaliere, e suscitano tensione, reazioni, spavento e panico tra la gente umile, semplice e indifesa. Tenuta sotto perenne assedio dal muro, con la vigilanza serrata dei soldati israeliani dall’alto delle torrette grigie, la popolazione cerca di aggiustare la propria vita al sistema di restrizioni che le viene imposto. Chi può cerca di resistere e di sopportare, chi non non ce la fa, si mette in lista per lasciare il Paese, con il generoso appoggio di Israele, che non desidera altro che vedere i Palestinesi andarsene
Questa Terra, che è Santa, è diventata oggi un miscuglio, anzi un intreccio di zone appartenenti ad Israele, e di altre appartenenti alla Palestina, zone A, B e C, ognuna con un regime diverso, per le quali la libertà di movimento è decisa solo in base agli interessi di Israele.
Quello che ci racconta Samar ci sembra perfino incredibile. Per circa cinque giorni, aveva pazientemente fatto la fila (che inizia alle 3 del mattino) per ottenere il permesso di uscire da Betlemme e recarsi al Lago di Tiberine, come ogni anno, su invito di una comunità di monaci: un po’ di relax, visite alla città