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Welfare, quante incognite

di Edoardo PatriarcaPortavoce del Forum Permanente del Terzo SettoreIl Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) detta sostanzialmente le linee di politica economica che saranno poi riprese nella Legge finanziaria del 2004, in discussione in Parlamento dal mese di ottobre in poi. Sono davanti agli occhi di tutti le difficoltà economiche e politiche nella stessa maggioranza. È pure utile ricordare, all’indomani degli incontri a Palazzo Chigi, le difficoltà delle parti sociali ad entrare nel merito di un testo inizialmente privo di cifre e con un quadro previsionale macro-economico non sufficientemente chiaro.

Ma veniamo al Dpef appena approvato. E leggiamolo sul versante delle politiche sociali e di welfare. I passaggi più significativi riguardano «la riforma del welfare al fine di garantire una maggiore equità sociale, sia in termini di distribuzione territoriale e intergenerazionale che in termini di rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, con particolare riferimento ai valori della famiglia e della solidarietà». Una priorità è «il sostegno alle pari opportunità – prosegue il documento – secondo il principio del main streaming, il contrasto alle discriminazioni e promozione dell’inclusione sociale, le politiche per incrementare la presenza delle donne nel mercato del lavoro favorendo la conciliazione famiglia-lavoro». Altri capitoli: l’immigrazione, letta però all’interno del capitolo «sicurezza»; il rilancio dei servizi educativi per l’infanzia e l’implementazione della legge di riforma della scuola. Passaggi tutti in gran parte condivisibili. Il punto cruciale rimane la quantità di risorse che saranno messe a disposizione. Nel Dpef si annuncia una manovra di 16 miliardi di euro (1/3 «razionalizzazioni» e il resto «una tantum»).

Detto questo, proviamo ad indicare alcune direttrici in vista della prossima Legge finanziaria.E la prima riguarda le politiche di welfare, non più percepite come peso al bilancio, ma piuttosto come promozione di inclusione e di incremento del capitale sociale, di crescita di «buona» occupazione e di sviluppo di quella economia sociale che tanto manca in questo Paese. Occorrerà non ridurre le risorse per il Fondo nazionale per le politiche sociali e i trasferimenti agli enti locali che sono in gran parte (oltre il 60%) dedicate ai servizi sociali; il rischio incombente è che per far quadrare i propri bilanci, i Comuni aumentino le tariffe di acceso ai servizi e al contempo li riducano, con un peggioramento dell’offerta che andrà a pesare soprattutto sulle famiglie a più basso reddito. Una seconda attenzione riguarda le politiche per i non autosufficienti, da attivare urgentemente: con gli anni a venire il fenomeno assumerà proporzioni drammatiche, in particolare per le famiglie costituite da coppie giovani, impegnate contemporaneamente nell’accudimento dei propri figli e nei servizi di assistenza dei propri anziani. La richiesta di costituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza va in quella direzione. Altro tema da non derubricare dall’agenda riguarda la lotta alle povertà e l’introduzione del reddito minimo di garanzia (a me piace chiamarlo così, piuttosto che reddito di ultima istanza come recita il documento): i poveri ci sono e sono aumentati, nel Dpef non se ne fa cenno esplicito.E infine le politiche sull’immigrazione: nel Documento vengono ancora lette in chiave di controllo e sicurezza delle frontiere, piuttosto che occasione storica per il nostro Paese di avviare un processo di integrazione ben governato capace di innestare nel nostro tessuto sociale nuove risorse umane ed energie professionali in settori di norma poco frequentati dai nostri giovani.

La seconda direttrice riguarda le politiche fiscali: rimangono strategiche le richieste più volte fatte anche ai Governi precedenti. Detassazione delle donazioni di singoli ed imprese verso le organizzazioni non profit; deducibilità delle spese sociali sostenute dalle famiglie (educazione, formazione, assistenza e cura….); un sistema fiscale che tenga conto del nucleo familiare e sostenga la natalità (le una tantum paventate nel Dpef sanno ancora di vecchio!); sostegno alle imprese sociali (in Parlamento giace ancora un disegno di legge governativo) così da sperimentare concretamente nei territori un welfare comunitario e municipale, che veda la presenza determinante dell’Ente locale – nei servizi gestiti, nel coordinamento della rete e del piano di zona, nella tutela dei diritti e nel garantire l’accesso a tutti… – con quella dei soggetti del non profit (associazionismo, imprese sociali, volontariato, fondazioni, ipab…), per un sistema che davvero diventi «cantiere creativo e innovativo» di quel principio di sussidiarietà evocato anche nel Dpef del Governo.