Lettere in redazione

«Bamboccione», una parola fuori luogo

Ho appena letto l’articolo in «Primo piano» sul numero 34 di Toscana Oggi «Il sogno? Metter su casa a 23 anni. Altro che bamboccioni» (Giovani e famiglia: altro che «bamboccioni»…).  Non trovo nulla di male se i ragazzi , a 23 anni, pensano di metter su casa. Mi  interrogo piuttosto sulla valenza della parola «bamboccione», che a mio avviso trasmette un’idea distorta del mondo giovanile e piuttosto pressapochista. Mi chiedo infatti: che tipo d’informazione veicola un titolo del genere? (Non basta metter su casa per non essere dei bamboccioni). Credo che negli ultimi tempi venga fatto un forte abuso di questa parola e credo che anche il significato si riallacci ad un modo di esprimersi di una certa classe politica che ha spesso dato prova di essere superficiale nella concezione stessa del suo agire politico. In fin troppa informazione troviamo pressapochismo e sensazionalismo. Se la prassi nello scrivere i titoli di un articolo è quella di far perno su questi fattori , nulla da dire, ma avendo l’informazione anche la prerogativa della verità, mi chiedo se sia giusto far leva proprio su questi.

Stefania Tasciniindirizzo email

Credo ci sia un equivoco. Scrivere nel titolo «Altro che bamboccioni», significa appunto che la rappresentazione corrente che si fa dei giovani, come coloro che non vorrebbero mai abbandonare la casa dei genitori, per paura di mettersi in gioco e di rinunciare agli agi familiari, è sbagliata. L’espressione compariva anche nel testo e il senso mi sembrava chiarissimo: «Il ministro Brunetta – scriveva Andrea Bernardini nell’articolo – ha definito i giovani italiani dei bamboccioni: fragili, sarebbero incapaci di staccare il cordone ombelicale con la famiglia di origine. Eppure gli adolescenti che hanno risposto al questionario dicono di voler lasciar casa, in media, ad appena 23 anni. Le prime a volersene andare? Le ragazze che abitano in città».

A dire il vero il primo ad usare l’espressione «bamboccione» fu il ministro dell’economia Padoa Schioppa che nell’ottobre 2007, presentando la manovra davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato disse: «Mandiamo i bamboccioni fuori di casa». L’espressione, che come talvolta accade ha avuto un grandissimo successo e viene utilizzata spesso sui media, è stata poi ripresa nel gennaio 2010 da un altro ministro, Renato Brunetta che commentando su un emittente radiofonica la condanna di un padre costretto dal giudice a pagare gli alimenti ad una figlia trentaduenne ancora fuori corso, confessò di essere stato a sua volta un «bamboccione» arrivando a 30 anni senza esser capace di rifarsi il letto e di essersene vergognato e invocò una legge che costringesse i figli a uscire di casa a 18 anni.

Claudio Turrini