Lettere in redazione

Clima, Nobel ad Al Gore toglie ogni alibi

Il Nobel per la pace assegnato all’ex vicepresidente americano Al Gore e all’Ipcc (Comitato Intergovernativo per i mutamenti climatici dell’Onu) rende finalmente giustizia a quanti si battono per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vera emergenza che l’uomo oggi deve affrontare, i cambiamenti climatici. Dopo questo prestigioso premio governi e amministrazioni pubbliche non hanno più alibi e non possono più ignorare che l’emergenza climatica è la vera emergenza che l’uomo di oggi deve affrontare. Ma anche i cittadini, come consumatori, devono cambiare i propri comportamenti e stili di vita, e, come elettori, devono esigere dai politici che scelgano un’attenzione reale al futuro del pianeta.

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Mi dispiace deluderla, ma non mi unisco ai «peana» per il nobel per la pace ad Al Gore e a quell’Ipcc che è sempre più un organismo politico e non scientifico. Anzi lo considero un gesto «insensato». E non solo per l’incoerenza di un personaggio che da vice-presidente degli Usa ben poco ha fatto per la pace e i cui consumi personali producono tutt’ora molti più gas serra di quanto vorrebbe ridurne alla popolazione. Nella sua attività politica non trovo infatti «meriti» che lo possano far additare al mondo come un alfiere della pace. Il suo film-documentario «An Inconvenient Truth» («Una scomoda verità»), già diventato l’icona di tutti i movimenti ecologisti più estremi, è pieno di affermazioni senza base scientifica, come ha riconosciuto nei giorni scorsi un giudice britannico Michael Burton, che ne ha condizionato la diffusione nelle scuole del Regno Unito (come voleva il governo laburista) all’avvertimento che non si tratta di «scienza». Il giudice – sulla scorta della documentazione scientifica – ha ritenuto il documentario un « film politico», anche «largamente accurato», ma «in un contesto di allarmismo ed esagerazione» delle cause e degli effetti del cambiamento climatico. Tra i gravi errori individuati dall’Alta Corte, la previsione – considerata puramente «allarmistica» – che il livello dei mari potrebbe innalzarsi di sei metri nel futuro prossimo. E ancora, che la Corrente del Golfo scompaia o che i cambiamenti climatici siano responsabili della riduzione della superficie del lago Ciad, dello scioglimento delle nevi del Kilimangiaro, dell’uragano Katrina, o della morte per annegamento degli orsi polari a causa dello scioglimento dei ghiacci.

Il che non vuol dire negare che dei cambiamenti climatici siano in atto, anche se sfuggono alla percezione del singolo. Il clima – che è in continuo mutamento – è una macchina talmente complessa che ancora l’uomo non riesce a comprendere appieno e a dominare. Fenomeni del tutto naturali e sempre esistiti, come l’attività solare, il variare della distanza dal sole e dell’inclinazione dell’asse terrestre o l’attività vulcanica, sono stati finora gli unici responsabili (perché l’attività umana era ben poca cosa) dei grandi cataclismi climatici che nel corso delle ere hanno modificato il pianeta. Certo, l’attività umana oggi ha un «peso» non raffrontabile con il passato ed è giusto avere un atteggiamento di grande precauzione. Ma da qui a dire – come fanno la maggior parte degli ecologisti – che va bloccato lo sviluppo dei Paesi poveri, impedendone l’accesso a fonti di energia sufficienti ed economiche, ce ne passa.

Claudio Turrini