Lettere in redazione

Difendiamola davvero la famiglia

La famiglia, quella fondata sul matrimonio secondo Costituzione, va promossa, sostenuta, incoraggiata. Il matrimonio comporta un’assunzione di responsabilità da parte degli sposi, dell’uno verso l’altro, e di entrambi verso la società. La società deve corrispondere a questo impegno con una serie di tutele, che «non lascino soli» coloro che generosamente concorrono ad arricchire il Paese del bene più prezioso, i figli, provvedendo alla loro crescita umana, culturale e spirituale.

Mai come in questo caso, dettato costituzionale e magistero della Chiesa coincidono. Mai come in questo caso dovrebbe realizzarsi una piena comunione di intenti fra buoni cittadini e buoni cattolici e chiarissimo appare il compito di chi è e si sente, allo stesso tempo, buon cittadino e buon cattolico. Prima di tutti gli altri, le gerarchie ed i cattolici impegnati in politica dovrebbero ritrovarsi intorno a questo comune obiettivo: promuovere in positivo la famiglia. Tutto ciò è talmente ovvio e scontato, che non metterebbe conto parlarne, se non fosse per il fatto che tutto ciò è clamorosamente contraddetto dai fatti. Vediamo perché.

1. Rispetto agli altri Paesi d’Europa, l’Italia ha la legislazione più penalizzante per la famiglia. Non solo, non esiste alcuna forma di incentivazione o aiuto per coloro che si sposano o fanno dei figli, ma addirittura chi decide di vivere da solo, o sceglie qualsiasi altra forma di convivenza, è premiato dal punto di vista fiscale. Chi si separa o divorzia, ottiene ugualmente un immediato vantaggio fiscale.

2. Non ha suscitato e non suscita alcun clamore questa situazione, che viola fra l’altro l’articolo 31 della Costituzione, ma «scoppia la bomba» quando si pone il problema di riconoscere per legge dei diritti, che il buon senso e criteri elementari di giustizia non negherebbero mai, a chi sta insieme, magari per una vita, magari con dei figli, senza essere sposato. Allora ci si divide, non sul fatto che si tratti di cosa diversa dalla famiglia (fin qui, tutti d’accordo), ma sulla domanda se delle persone non sposate possano essere titolari di diritti.

Mi sembra davvero poco cristiano il concetto che, pur di affermare per legge una differenza non solo nominale fra la famiglia fondata sul matrimonio e altre forme di convivenza, non ci si scandalizzi e non si insista perché la prima sia adeguatamente premiata, ma si invochi una penalizzazione, non importa se ingiusta, non importa se contro la carità, verso le seconde.

Da figlio devoto della Chiesa e da semplice elettore, non sono in grado di insegnare il mestiere né ai politici, né tanto meno ai vescovi, ma se posso esprimere un desiderio, mi piacerebbe tanto leggere un appello di questi ultimi perché si cominci davvero a legiferare in favore della famiglia, e mi piacerebbe sentire i politici cattolici che si prendono l’impegno di far scrivere nel programma della coalizione cui appartengono (di centrodestra o di centrosinistra) che, in caso di vittoria, la famiglia sarà al centro della propria azione di governo. Cosa che si può fare benissimo senza mancare di carità nei confronti di chi sposato non è. Marco Parrinimparrini@gruppomcm.it C’è del vero in quel che scrive. Alcuni politici che non hanno fatto mai nulla per sostenere davvero la famiglia, quando non sono addirittura i responsabili di leggi che la penalizzano, si ergono oggi ipocritamente a paladini della famiglia «fondata sul matrimonio». Non credo invece che si possa accusare i nostri vescovi di accorgersi solo ora dei problemi della famiglia. Almeno negli ultimi dieci anni il tema ricorre spesso e in modo chiaro nei documenti e nelle varie prese di posizione. Detto questo, però, bisogna sgombrare il campo da un equivoco. Tranne pochissimi casi, dove esistono degli impedimenti oggettivi, chi sceglie di convivere lo fa in piena libertà e consapevolezza, rifiutando di assumersi quei doveri che il codice civile, e prima ancora la Costituzione, fa ricadere sui due coniugi. Perché allora dovrebbero godere degli stessi diritti di chi invece quei doveri se li assume? Questo discorso non vale, ovviamente (ma è già così) per i figli: che siano nati in una famiglia regolare, in una coppia di fatto o da una single devono avere gli stessi identici diritti.Claudio Turrini