Lettere in redazione

Dove nasce il terrorismo

Caro Direttore,scrivo sconvolto ma non sorpreso dai fatti di Londra. Sapevo che sbagliavamo quando qualche decennio fa si diceva: «Bisogna temere la reazione dei poveri»: Ma i poveri sono inermi e innocenti, sono Abele pastore. Bisognava temere la reazione dei ricchi, dei ricchissimi, che spostando un pacchetto di azioni finanziarie da una banca all’altra possono mettere alla fame migliaia di persone. E possono investire denaro nelle varie stragi, da quelle di Sicilia a quella di Firenze in via dei Georgofili, da quelle delle Torri gemelle a quelle di Spagna oppure nella Galleria della Direttissima. Un miscuglio bizzarro di eventi? Per lo meno c’è la stessa mano tecnica, perché pochi esperti al mondo possono maneggiare così gli esplosivi.

Allora mi viene in mente che ben di rado è stata fatta un’analisi storica o culturale di questo fenomeno. Così mi torna in mente l’orrendo motto dei nazisti: «Questa è la guerra dello spirito contro la materia». Ovviamente erano loro, quelli che uccisero anche il padre dei miei amici di infanzia, anche un mio parente, ad essere lo «spirito» mentre erano vile materia i milioni di vittime dei campi di concentramento, compreso Padre Kolbe. Ma erano esseri inferiori anche le migliaia di seminaristi ortodossi fatti morire nel gelo delle isole a nord di Sanpietroburgo (avete letto i resoconti di viaggio di «Touringclub»?), i milioni di contadini fatti morire di fame da Stalin, i milioni di animisti e cristiani morti o schiavi nel Sudan, gli «scomparsi» del Sudamerica.

L’Islam non ha colpa. È possibile, e propongo un’ipotesi di studio, che questo atteggiamento di disprezzo verso il corpo altrui, ma anche proprio, faccia capo a una ben nota scuola filosofica e di vita che chiunque sappia un po’ di filosofia comprende subito quale sia. È perfino sbagliato usare la parola «kamikaze» perché i giapponesi si gettavano contro le navi, non contro gli uomini.

È questo modo di pensare che si è infiltrato in una parte dell’Islam come tentò di inflitrarsi mille anni fa nello stesso cristianesimo che si salvò con San Francesco e San Domenico. Se osserviamo la storia, questo modo di giudicare con disprezzo il prossimo è stato proprio dei potenti quando hanno dovuto abbandonare la loro supremazia (alla fine del feudalesimo, ad esempio). Basta dire che la risposta dei fiorentini fu, allora, la fondazione della Confraternita di Misericordia.Paolo AugustiFirenze La storia di tutti i tempi – ma anche la cronaca di questi giorni – è segnata dalla sofferenza dei singoli e dei popoli. Le cause che la determinano, che possiamo chiamare i volti del male, sono varie, ma la radice prima è comune e lei, caro Augusti, la indica con chiarezza: è il disprezzo dell’altro che nasce da una presunta superiorità di razza, di cultura, di civiltà.È un atteggiamento già molto negativo nel singolo, ma se anima e motiva ideologie e partiti ha sempre conseguenze nefaste perché quando se ne hanno i mezzi, siano essi economici, politici, militari, si traccia col sangue la geografia della morte. Le vicende del secolo appena trascorso lo provano drammaticamente. Ed è purtroppo atteggiamento che può contaminare la stessa religione e così uccidere in nome di Dio appare un atto dovuto e meritorio, mentre è e resta sempre una bestemmia perché Dio, come ci ha ricordato con forza Benedetto XVI, «ama la vita che ha creato, non la morte».L’antidoto c’è e si radica nel rispetto dell’altro che va conosciuto e valorizzato negli aspetti positivi che non mancano mai. Cristianamente diciamo che è l’amore che si sforza, pur nelle difficoltà, di improntare di sé ogni civiltà.Questo certo non esclude il necessario giudizio e la riprovazione anche forte delle azioni che seminano lutti e morte e delle ideologie che le promuovono o le giustificano. L’impegno di fondo però resta per un cristiano, anche comunitariamente, sempre quello di contribuire a «abbattere muri e costruire ponti».