Lettere in redazione

Figli in discoteca, colpa dei genitori?

Caro Direttore,ho letto con qualche perplessità l’articolo di Massimo Lippi sul n. 42 di Toscanaoggi a pag. 16, dove si legge una dura condanna per quei genitori i cui figli vanno in discoteca: «Dove sono i babbi e le mamme di questi ragazzi? Perché non li soccorrono? Quant’è ignobile e crudele la loro moderna indifferenza!…Cosa potranno dire alle loro coscienze questi genitori? Niente».

Forse l’autore ha voluto essere provocatorio, ma se fossi un genitore di uno di quei ragazzi morto il sabato sera chiederei delle scuse!

Pensavo che i tempi della fustigazione dei «colpevoli» fossero finiti: visto che anche i genitori, in definitiva, sono vittime di questa società che ha sempre meno valori, perché usare delle parole di così forte disprezzo e condanna?Lettera firmataLucca Troppo forti le parole di Massimo Lippi dal suo «Sicomoro»? Può anche darsi, ma di fronte a queste «stragi del sabato sera» è più che giusto indignarsi. E sono i numeri che lo impongono.L’Agenzia regionale di sanità, durante il Convegno «Una notte da bere: i rischi del sabato sera» ha fornito questi dati: in Toscana dal 1991 al 2003 gli incidenti riconducibili al dopo discoteca sono stati 17.503 con 23.467 feriti – alcuni con esito invalidante – e 448 decessi. Di questi il 42,8% sono giovani. Anche le cause è opportuno richiamarle perché fotografano «le abitudini di guida e gli stili di vita della popolazione studentesca toscana» emerse da una ricerca ad hoc nel 2005: più del 20% del campione (il 30% fra i maschi) riferisce di essersi messo alla guida dopo aver bevuto un po’ troppo e il 15% dopo aver assunto sostanze psicotrope. Più volte si è tentato di varare per le discoteche norme che regolino vendita di alcolici e orario di chiusura, ma tutto si è arenato perché gli interessi sottesi sono davvero tanti. Ma la responsabilità non può essere attribuita tutta alle Istituzioni. Nessuno in questi drammi più dirsi totalmente innocente, neppure – e lo diciamo con tutta la pietà possibile – le stesse vittime. È giusto quindi chiedersi – come fa Massimo Lippi, senza voler affatto «fustigare» – se i genitori di questi giovani e giovanissimi abbiamo saputo esercitare fino in fondo il loro compito educativo che richiede intelligenza, amore, ma anche fermezza nel porre dei limiti.Forse i nostri ragazzi, o almeno una parte di loro, si aspettano dagli adulti dei «no» che comportano limitazioni, che in fondo vogliono dire: «La tua vita mi sta a cuore e per questo voglio impedirti di sciuparla».