Lettere in redazione

Florit, La Pira e il caso «Isolotto»

Caro Direttore,ho letto sul numero 17 di Toscanaoggi gli articoli riguardanti il ’68 nella Chiesa Cattolica italiana (Il ’68 dei cattolici): articoli molto interessanti, soprattutto il tuo editoriale (che condivido e l’intervista di Claudio Turrini allo storico Beretta che spiega molto bene il clima religioso culturale e politico di quel periodo). Vorrei aggiungere alcune brevi considerazioni: Beretta giustamente sottolinea come La Pira ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa ed essendo fedele al Papa e ai Vescovi (anche al cardinal Florit) è sempre rimasto nella Chiesa pur avendo un atteggiamento chiaramente progressista e democratico mai, però, indulgente nei confronti delle ideologie totalitarie. Diverso il caso, a Firenze, dell’Isolotto dove Don Mazzi e altri due sacerdoti fiorentini suoi seguaci misero insieme una contestazione alla Chiesa assolutamente mancante del senso della storia e nata cioè, su un fatto puramente contingente. La contestazione dell’Isolotto nacque per denunciare la costruzione di una nuova chiesa con i fondi della Cassa di Risparmio di Parma in quella città come se le malefatte della Chiesa fossero solo quelle. Mons. Bruno Panerai, priore di San Felice in Piazza, Vicario urbano dell’Oltrarno fiorentino fu incaricato insieme a mons. Alba di seguire la comunità dell’Isolotto per conto del card. Florit. Proprio mons. Panerai, di cui io sono stato parrocchiano sin  dalla mia nascita e  fino alla sua morte, mi fece notare come l’azione pastorale di don Mazzi fosse miope, priva di prospettive storiche e soprattutto indirizzata contro il card. Florit che era figlio di poveri minatori friulani. Il card. Florit quando morì era poverissimo. Mons. Panerai mi raccontò come dietro don Mazzi ci fosse il partito comunista che, in più o meno buona fede, tentava di aprirsi un varco nella Chiesa fiorentina. Lo spazio fu immediatamente chiuso da La Pira che si schierò, senza indugio, dalla parte del card. Florit.

A questo proposito voglio rivelare un fatto che mi è stato riferito da un’autorevolissima fonte ecclesiastica (che possiede la documentazione in questione). Ecco il fatto: il Papa Paolo VI offrì al card. Ermenegildo Florit di lasciare l’Arcidiocesi di Firenze, per porre fine alle polemiche con l’Isolotto, elevandolo alla dignità di Patriarca di Venezia. Da pochissimo tempo infatti era morto il Patriarca Urbani. Il card. Florit rispose al Santo Padre pressappoco così: «Santità se Lei vuole che lasci la Diocesi di Firenze sono pronto a farlo… ma non posso accettare di andare a fare il Patriarca di Venezia: se non sono stato all’altezza del compito affidatomi a Firenze, tanto meno lo potrei essere a Venezia».

Questo era l’uomo Florit. E il suo maggior collaboratore nella vicenda di don Mazzi, mons. Panerai, lo difese sempre con virile carità nei confronti della comunità dell’Isolotto che poi sarà con il tempo definitivamente dispersa dal grande pontificato missionario interamente vissuto per la libertà dei popoli e per il riscatto umano e sociale degli ultimi dal Servo di Dio Giovanni Paolo II.

Giovanni PallantiFirenze Caro Direttore,nel numero 17 di Toscanaoggi dedicato alla vicenda dell’Isolotto (Il ’68 dei cattolici), fra le tante informazioni che vengono date, manca quella – secondo me molto importante – della visita che il prof. La Pira fece a don Mazzi nel tardo pomeriggio piovigginoso di quel famoso 31 ottobre 1968. I fatti che posso testimoniare sono i seguenti. Il Professore aveva chiesto un colloquio a don Mazzi e così verso le 18 Pino Arpioni ed io andammo a prenderlo presso la sua abitazione (allora in via Venezia). Se ricordo abbastanza bene quell’episodio è dovuto al fatto che Pino fece guidare me (giovane e patentato da poco) e forse fu la prima volta che accompagnai il Professore da qualche parte. In qualche modo mi sentivo coinvolto direttamente a motivo di questo servizio di autista.Dentro la canonica, rivedo un corridoio centrale con due-tre porte a destra e a sinistra e diverse persone che si muovevano in modo frenetico. Pino ed io rimanemmo nel corridoio mentre La Pira entrò in una stanza a sinistra, quella dove c’era don Mazzi (ma noi non lo vedemmo) e vi rimase per un tempo che certamente superò la mezz’ora.

Durante il viaggio di ritorno ci fu qualche scambio di battute fra il Professore e Pino ma ricordo solo che La Pira disse che al colloquio non erano stati presenti gli altri due preti coinvolti nella vicenda dell’Isolotto (figure secondarie, del resto).

Quello che La Pira pensava dell’Isolotto, ma anche del card. Florit, lo si può ricostruire sulla base di alcune sue considerazioni successive, ma certamente quella sera appariva semplicemente amareggiato. Certamente non era riuscito a smuovere il Mazzi – ormai incapace a fermare un movimento di cui era ormai prigioniero – neanche di una virgola.

Consigliò a Pino di non partecipare all’assemblea parrocchiale, cosa che certamente Pino non avrebbe comunque fatto – data la sua notorietà (e contrarietà, nonostante tutto) – e così fui io, giovane sconosciuto provinciale trapiantato a Firenze, ad essere incaricato di tornare all’Isolotto per riferire l’indomani la cronaca della famosa serata.

A distanza di tanti anni, di quella animatissima assemblea ricordo solo che in quella chiesa stracolma di parrocchiani e curiosi, io mi ritrovai dalla parte sinistra e in una postazione abbastanza elevata, vicino a una tela di Primo Conti. Ma quello che fu detto, il giorno dopo era su tutti i giornali…

Lettera firmata

Ben volentieri diamo spazio a queste testimonianze, che arricchiscono di interessanti particolari la «vicenda Isolotto», che, come ben dice Beretta nell’intervista rilasciata al nostro Settimanale, «diventa immediatamente – soprattutto per una sovraesposizione mediatica, aggiungo io – il massimo esempio per la contestazione cattolica del ’68 e ancora oggi molti, forse non sanno neanche dove sia, però se devono citare una comunità di base, nella maggior parte, citano l’Isolotto».

Ma questi interventi mi danno anche l’occasione per sottolineare ancor più il ruolo di due persone, a cui si fa riferimento.

Il primo è mons. Panerai; lo ricordo anch’io molto bene; un prete buono, saggio, vicino al suo popolo anche nei tempi difficili e – cosa che in un sacerdote non guasta mai – di grande finezza d’animo, che emergeva anche nel tratto. Il suo impegno intelligente e sofferto per ricomporre o almeno attenuare la frattura fu notevole e il non esserci riuscito non dipese certo da lui.

L’altro è Giorgio La Pira. In quel frangente, quando i clamori erano altissimi, egli poteva tacere, anche se il suo silenzio sarebbe stato assordante.

Molti lo desideravano, lo speravano e in tal senso lo consigliavano, anche facendo leva su alcune incomprensioni nei suoi confronti, e che certo l’avevano fatti soffrire, da parte dalla Curia fiorentina. Ma lui parlò chiaro e forte. E per lui non c’erano dubbi: «ubi Episcopus ibi ecclesia». Forse mai come in quella presa di posizione apparve evidente la sua levatura umana e spirituale e, diciamo pure, la sua «santità».

Il «caso Isolotto» ha finito anche per segnare, nel sentire dei più, l’episcopato del Cad. Florit, come se si riducesse e si esaurisse tutto in quella vicenda. Fu invece bene altro e credo sia giunto il tempo per un’analisi approfondita e serena del suo lungo ministero fiorentino (1962–1977), come pure del periodo in cui fu coadiutore del card. Dalla Costa (1954-1962), senza dimenticare il Florit biblista e il suo contributo al Concilio, soprattutto in ordine all’elaborazione – lunga e faticosa – della «Dei Verbum», come ben risulta dal «Diario del Concilio» (ed. Dehoniane 2003) del padre Betti che fu suo perito e che il Papa ha nominato cardinale nel Concistoro del 2007.