Lettere in redazione

Giocando a dadi con «Alitalia»

Premetto la mia assoluta mancanza di obbiettività sull’argomento che sto per trattare. Sono infatti fortemente prevenuto nei confronti del personaggio che una buona maggioranza di cittadini ha inteso eleggere alla guida del governo della Repubblica.

Vicenda Alitalia. Ad un paio di settimane dalla scadenza per la conclusione dei negoziati con l’unico acquirente che aveva confermato il proprio interesse a rilevare l’azienda, negoziati complessi e delicati che avrebbero avuto bisogno soltanto di essere proseguiti e conclusi nel modo meno traumatico per la Compagnia di Bandiera, abbiamo un colpo di scena: l’attuale presidente del Consiglio eletto ha in tasca (sic!) la soluzione perfetta. Un’italianissima «cordata» con nomi, cognomi e ragioni sociali, a partire dai propri figli. Smentita di tutti gli interessati, salvo i figli, che proprio non hanno voce in capitolo. Malinteso, altri nomi, cognomi e ragioni sociali. Altre puntuali smentite. Si rammenda il buco con l’annuncio di una ferma intenzione, appena seduto sul ponte di comando, di lanciare un appello a tutti gli industriali d’Italia e «vogliamo vedere chi oserà tirarsi indietro…». Forse non solo per questo, ma certamente anche per questo, l’Unico Acquirente rimasto abbandona le trattative.

Al momento in cui scrivo queste righe, non abbiamo nulla di più di qualcuno che si dichiara disposto ad esaminare gli elementi della transazione, premettendo di volere «vederci chiaro». Nel frattempo si è chiesto, ed ottenuto, un «prestito ponte» di trecento milioni di euro finché non matura qualcosa. Attenzione, prestito di nome, ma intervento a fondo perduto di fatto (cioè prelevato direttamente dalle tasche degli italiani), giacché chi dovesse comprare, per un’elementare regola contabile, decurterà dal prezzo pattuito l’ammontare del debito che l’Azienda, nella sua condizione attuale, mai sarà in grado di restituire. Se l’Azienda, come sembra, perde oltre un milione di euro al giorno, o c’è chi asserisce di più, il «ponte» dovrebbe essere di dieci mesi, o comunque di un bel po’ di mesi. Un bel passo avanti, per chi asseriva di «avere la soluzione in tasca…». Non è escluso che si possa addivenire ad una soluzione migliore di quella sfumata: giocando a dadi a volte si vince, ma più spesso si perde, e non credo che un politico, che si propone addirittura come Uomo di Stato, possa o debba giocare a dadi l’avvenire di un’azienda con migliaia di dipendenti.

Andrea GoriPrato

Per fortuna la campagna elettorale è terminata e con lei il tempo delle promesse ad effetto. Non si tratta che di aspettare qualche mese, e il nuovo governo non avrà alibi. Se in campagna elettorale ha bleffato, gli italiani potranno giudicarlo con facilità. E se alla fine i tagli saranno più di quelli prospettati da «Air France» (perché sul fatto che ci dovranno essere non ci sono dubbi!), anche i sindacati dovranno fare il «mea culpa».

Però per onestà dobbiamo anche dire che se la crisi è arrivata a questo punto le colpe vanno suddivise sui governi precedenti, sia di centro-sinistra che di centro-destra. Anche la gestione di Padoa-Schioppa della gara di vendita della nostra compagnia di bandiera non mi sembra immune da critiche. Quanto al prestito-ponte, varato da un governo dimissionario su richiesta di quello in arrivo e con l’incognita di una sonora bocciatura della Ue, è solo l’ultimo episodio di una vicenda assurda. Finora, nessuno ha avuto il coraggio di scelte coraggiose, con la conseguenza di prolungare l’agonia dell’«Alitalia» e di allontanarne il possibile rilancio. E, oltretutto, attingendo alle nostre tasche.

Claudio Turrini