Lettere in redazione

Guerra e scelta militare: il dibattito è aperto

Gentile direttore, nella rubrica «La lettera al direttore» del 25 settembre (Contro la guerra, ma con realismo) mi ha molto colpito l’intervento del signor Salvati radicalmente contro ogni compromissione della Chiesa con la violenza della guerra compresa la presenza dell’ordinariato militare e dei cappellani militari. Naturalmente mi ha molto interessato la sua risposta «Contro la guerra ma con realismo», alla quale se permette, vorrei fare alcune annotazioni perchè ritengo che il tema sia sempre della massima attualità e nell’ambito cattolico sia importante discuterne.

Parlando dei cappellani militari cita due santi, don Facibeni e don Gnocchi, che sicuramente non erano stati guerrafondai e la loro scelta evangelica non è minimamente da mettere in discussione. Io ne vorrei aggiungere altri due : un beato, e cioè il Papa Giovanni XXIII, e un profeta, don Primo Mazzolari, ambedue cappellani nella prima guerra mondiale: Il primo è il Papa della «Pacem in Terris», il secondo è l’autore di saggi, articoli, conferenze sulla pace e dati i tempi ebbe come è noto non pochi ostacoli al suo impegno. Penso che nessuno di loro abbia rinnegato l’esperienza militare, direi vedendo l’impegno successivo che tale esperienza abbia contribuito alla maturazione ed al superamento di quella scelta. Vorrei poi ricordare che quei cappellani militari che nei primi anni sessanta del secolo scorso accusarono poco cristianamente gli obiettori di coscienza di viltà, fecero tutto sommato un cattivo servizio al proprio ufficio ma ottimo per il dibattito che ne seguì grazie a don Lorenzo Milani e ai ragazzi di Barbiana con «L’obbedienza non è più una virtù».

Continuando, concordo pienamente con Lei: «Il cristiano è e deve essere sempre contro la guerra» e comprendo come la precarietà degli equilibri mondiali non permetta di abbandonare le armi. Stiamo però attenti a far passare per missioni di pace, operazioni militari molto dubbie, equivoche come l’intervento in Afghanistan. Come può essere di pace, la presenza in un paese in piena guerra, e che guerra! Anche in Iraq si parlò di missione di pace, poi ci siamo fortunatamente accorti del tremendo sbaglio e ci siamo ritirati, troppo tardi purtroppo per i caduti di Nassyria. Mi pare che quasi tutti gli interventi armati effettuati dall’Italia in questi ultimo venti anni siano segnati dall’ambiguità e da una presa in giro della nostra Costituzione, oltre che dal buon senso. Probabilmente le uniche missioni di pace sono state quelle in Libano e in Bosnia dove la presenza militare aveva la funzione di interposizione tra due belligeranti, ma naturalmente è una mia opinione. Un altro aspetto che vorrei sottolineare è la rinascita della retorica patriottica e proprio in occasione purtroppo delle ricorrenti cerimonie funebri per i nostri militari morti in missione; retorica che non è mancata neanche nelle parole di cappellani e Ordinariato militare. Mons Nogaro e mons. Plotti per aver avuto in quelle occasioni parole diverse e ritengo più conformi al Vangelo sono stati oggetto di accuse e denigrazioni da parte dei soliti «benpensanti». Speravo che la retorica fosse ormai rimasta nelle vecchie lapidi e nei monumenti delle passate tragedie, ma mi ero sbagliato.

Scorrendo ancora la sua risposta trovo che sia logico e giusto che l’Italia debba fare la sua parte nel sostenere gli altri popoli nella loro ricerca di libertà e democrazia e nella giusta distribuzione delle risorse del pianeta, naturalmente esercitando la debita prudenza perchè non si affermino nuove oppressioni, fondamentalismi ecc., spero che questo avvenga senza mandare i «caccia bombardieri» a sparare missili più o meno intelligenti come in Libia , mi parrebbe alquanto contraditorio oltre che poco cristiano (i sedici miliardi per 131 nuovi aerei militari sarebbero molto più utili per riparare un po’ di danni fatti dalle finanziarie di questi mesi). Ritornando infine ai Cappellani militari e il loro ruolo di assistenza spirituale, può darsi che sia ancora valido , ma perchè non renderlo autonomo dalla struttura militare, senza stellette, meno compromesso con un linguaggio che piaccia o no è legato alla guerra? Mi sembra che proposte simili siano state fatte da associazioni come Pax Christi . Concludendo: «Contro la guerra ma con realismo» certo ma pensando come diceva il compianto padre Ernesto Balducci ad una pace frutto del realismo dell’utopia.

Carlo Giuseppe RoganiSiena

Carissimo Rogani, la ringrazio per il suo intervento, articolato e puntuale, tanto che ho deciso di pubblicarlo per intero limitando la mia risposta a ribadire con lei che questi sono temi della massima attualità su cui è importante discutere. Ammetto anche che l’esempio dell’Afghanistan non era quello più giusto. Ha ragione: meglio fare riferimento alla Bosnia e al Libano. Su quella che invece definisce «retorica patriottica» durante i funerali non sono molto d’accordo. Teniamo sempre conto che in quelle bare c’è spesso un ragazzo che aveva pur sempre degli ideali e intorno a lui ci sono familiari (mogli, fidanzate, genitori, figli piccoli…) che piangono un congiunto di cui spesso hanno condiviso o sostenuto la scelta militare. Ma anche su questo mi piacerebbe sentire il parere di altri lettori: il dibattito è aperto.

Andrea Fagioli