Lettere in redazione

Il «Sicomoro» e gli applausi in chiesa

Caro Direttore,ho accolto con piacere l’inizio, sul nostro settimanale, di una nuova rubrica, dal titolo accattivante «Il Sicomoro», però, devo dirti, che l’inizio, per usare una cortese litote, non è stato felice, sia per la sostanza, ma, a mio parere, in modo più grave per la forma. Gli applausi in chiesa possono piacere o non piacere. Io personalmente ritengo che, in certe occasioni, siano una intensa manifestazione di partecipazione all’evento.Due episodi nella mia chiesa. Si è celebrato il funerale di un Fratello della Misericordia, che aveva dato molto alla Confraternita ed alla città; quando il feretro usciva, è sorto, spontaneo, da tutti, un applauso di ringraziamento per quello che aveva fatto. Il secondo è stato in occasione della festa della Misericordia, per San Sebastiano, quando sono stati premiati dei Confratelli che, da mezzo secolo, prestavano il loro disinteressato servizio. Anche in questo caso, gratitudine.L’applauso è un segno spontaneo di amore: penso ai bambini, quando vedono la mamma avvicinarsi battono le manine. E potrei continuare. La forma. Ma, mi dico, come si permette Lippi di definire «beceri» gli applausi di tanta gente che sì, non avrà la sua alta cultura, ma che vuole esprimere, come sa e come può, la sua partecipazione. Usare un linguaggio di disprezzo e di autosufficienza culturale verso i nostri fratelli «non tanto acculturati» è una grave mancanza di carità. Traspare, dall’articolo, il rimpianto per i vecchi tempi del latino, capito da pochi eletti, dai canti incomprensibili, dalle polifonie che, quelle sì, erano più spettacolo che preghiere, dal «ratio, cognatio et crimen» di manzoniana memoria, che zittiva tutti, oltre al fatto della partecipazione alla Messa un po’ «sui generis», recitando il rosario. Vorrei anche ricordare che «chiesa» deriva dal greco «ekklesia», assemblea, e, nell’assemblea liturgica si va per partecipare e non per fare le belle statuine mute.Carlo GrassiSesto Fiorentino (Fi) Caro Direttore, benvenuto a Massimo Lippi, non a caso, «scultore e poeta». E finalmente, qualcuno che «non ci sta» agli applausi in Chiesa! Sì io sono di quelle che prende la fuga per poi tornare a «festa» finita, magari per andare nelle chiese tenute da religiosi dove il silenzio adorante è regola di vita insieme alla regola della vita comunitaria. Che assenza di sacralità nelle nostre chiese! E allora mi sento meno isolata dopo lo «sfogo» cristiano-letterario di Massimo Lippi. Perché, anche se molti sono contrari (ma allora chi applaude in chiesa?), ad ogni sia pur minimo appunto-disappunto, scatta l’ineluttabilità dell’onnipresente buonista, sempre in agguato col suo «Eh, che ci vuoi fare?», come se fosse obbligatorio, come pagare le decime, lo schiamazzo nelle chiese. E tra gli schiamazzi, includo certe canzoncine pseudo-religiose e, chiedendo scusa alla musica, certe musichine che di tessitura musicale non hanno nemmeno una nota… Sembra che ci sia il timore di lasciare, anche qualche secondo, il fedele «solo» col suo Dio. Ma se è col suo Dio porterà con sé il mondo intero, state tranquilli. Applaudiamo allora a Dio col battito segreto del nostro cuore, ad ogni istante della vita. Torno dal funerale dell’amico Mario Luzi. Circa un anno fa, ebbi occasione di vederlo verso la libreria San Paolo a Firenze. Parlammo di applausi, anche allora. «Spero che al mio funerale – mi disse – mi siano risparmiati». Ma non gliene sarà importato niente: Dio lo aveva già accolto in un lungo, silenziosissimo abbraccio.Mariella CambiFirenze Che una rubrica al suo debutto susciti reazioni così vivaci è molto positivo. È segno che provoca e fa pensare. L’autore, Massimo Lippi, estroso e appassionato, si esprime in modo paradossale e apodittico con una prosa di stampo arcaicizzante, ma molto espressiva. Lui è così: prendere o lasciare. E noi siamo lieti di averlo come amico e come collaboratore, perché garantisce che le sue opinioni – perché di opinioni si tratta – non saranno mai banali né scontate.Ma veniamo al punto. È vero, da un po’ di tempo è invalsa l’abitudine di applaudire in chiesa nelle più varie occasioni e le valutazioni sono diverse e contrastanti, come emerge del resto da queste due lettere. Che dire? Poiché in merito non vi è nessuna disposizione, neppure nell’ultima Istruzione della Congregazione per il culto divino (marzo 2004) che tra l’altro si sofferma proprio «sulla retta celebrazione della S. Messa» e fissa norme ben precise per una partecipazione attiva dei fedeli, l’applauso in chiesa – sempre nel rispetto del decoro della celebrazione – resta affidato al buon senso dei fedeli e legato alle circostanze. L’applaudire può essere infatti «segno spontaneo d’amore e di gratitudine» o indulgenza ad una moda che introduce «anche in chiesa il tifo da stadio». Sta qui, a mio parere, la differenza e anche la valutazione.

Istruzione Redemptionis Sacramentum