Lettere in redazione

Il caso Welby divide ancora

Caro Direttore,ho trovato la lettera-riflessione di Elisabetta Caselli al divieto di funerale religioso a Welby un po’ dura e esasperata. Ho apprezzato invece quanto ha dichiarato la moglie di Welby quando ha detto che è certa che il Vescovo (che non ha potuto autorizzare il funerale religioso) ha pregato per Piergiorgio il Dio misericordioso. Per quanto riguarda le coppie dello stesso sesso la Chiesa le rispetta, ma non può concedere il matrimonio religioso. E credo che anche La Pira e Don Milani sarebbero d’accordo in questo. Capisco che in una società secolarizzata si fa fatica a comprendere le posizioni della Chiesa, ma il futuro ci dirà chi aveva ragione. Letizia Cecchiindirizzo email Caro Direttore,«Non basta voler bene ai giovani: bisogna che se ne accorgano». Queste parole straordinarie di don Bosco mi sono tornate in mente quando si è saputo che il vicariato di Roma negava i funerali religiosi a Piergiorgio Welby. I moralisti addurranno motivazioni teologiche a sostegno di questa decisione. Essa rimane tuttavia sconcertante, non solo perché una simile severità non viene fatta valere in altri casi (malviventi, dittatori, persone di più che dubbia moralità, e ora – credo – gli stessi suicidi), ma anche e soprattutto perché conferma dolorosamente che la Chiesa (la nostra Chiesa) fatica a mostrarsi solidale con le gioie e le angosce del «mondo», a testimoniare che il sabato è per l’uomo e non viceversa. Non basta voler bene agli uomini d’oggi: bisogna che se ne accorgano!Francesco MichelazzoFirenze Caro Direttore,ho appena finito di leggere le pagine di «primopiano», dedicate alla vicenda dei funerali negati a Welby (Toscanaoggi del 7 gennaio). La questione era davvero spinosa. Il credente (…e la Chiesa!) è stato messo a dura prova, sia sulla questione specifica dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico, sia sulla concessione del funerale. Le scrivo semplicemente per complimentarmi con il suo giornale che, mi creda, ha offerto un’informazione adeguata, permettendo il delinearsi di un’opinione personale consapevole e serena. Dopo aver letto il «primopiano» ho provato una sensazione di grande «leggerezza»: Ho avuto le idee molto chiare sul comportamento della Chiesa. Il vostro giornale ha davvero contribuito a permettermi un’opinione, ripeto, consapevole e serena. Se in futuro, chissà quando e con chi, potrò testimoniare in favore della Chiesa riguardo questo caso, lo devo anche a voi, e ve ne ringrazio.Beatrice Lenziindirizzo email Caro Direttore,come giovani cattolici democratici iscritti a La Margherita ma, soprattutto, come liberi cittadini di questa Repubblica, capaci di tradurre in politica laicamente i valori da cui traiamo ispiriazione, sentiamo l’esigenza di manifestare tutto il nostro sdegno e la più totale ripugnanza per la vergognosa strumentalizzazione mediatica che il Partito Radicale ha portato avanti riguardo la tragedia di Piergiorgio Welby. Pur riconoscendo le sofferenze dell’uomo, e la gravità del caso, si è trattato per noi di una vera e propria esecuzione sulla pubblica piazza mediatica, perpetrata nonostante il parere contrario della magistratura e delle commissioni competenti, che non ravvisavano in Welby qualsivoglia tipo di accanimento terapeutico. Un gesto penalmente perseguibile, che coinvolge il medico esecutore, ma anche i vari Pannella, Bonino, Cappato, che lo hanno auspicato. Dopo che si è consumata la tragedia, ci chiediamo se sia ancora tollerabile che il Partito Radicale possa continuare a far parte della maggioranza di governo; in particolare, ci chiediamo come sia possibile che l’on. Emma Bonino possa continuare «come niente fosse» a proseguire la sua attività di ministro del governo Prodi. Nello stesso tempo esprimiamo il nostro profondo disagio e turbamento circa la decisione del Vicariato di Roma di non concedere a Welby i funerali religiosi; certamente conosciamo le posizioni in merito della dottrina, ma crediamo che in certe circostanze possa essere superata, per lasciar posto all’accoglienza, alla fratellanza, all’incontro con tutti i fratelli, alla carità cristiana, nel più autentico spirito evangelico, anche e soprattutto verso coloro che si pongono al di fuori dei suoi dettami. Con ciò certamente non intendiamo mettere in discussione il diritto della Chiesa di esprimere le proprie posizioni, ma riteniamo che questa decisione costituisca un’occasione persa per dimostrare la vicinanza e la solidarietà che, come cristiani, dovremmo sempre dimostrare ai nostri fratelli.Riccardo Clementi – Pontassieve (Fi)Alessandro Riccomi – Uzzano (Pt)Giacomo Scardigli – Porcari (Lu) Caro Direttore,sul pietoso e politicizzato caso di Welby abbiamo sentito e letto di tutto da parte laica e da cristianucci credenti, ma non osservanti. Ma da un cattolico, impegnato in politica, come l’on. Castagnetti, non mi sarei mai aspettato la critica che tramite il quotidiano «Europa» ha indirizzato al Vicariato di Roma. Se la decisione di rifiutare i funerali religiosi gli è parsa «poco comprensibile» dia una ripassata alla dottrina cattolica. Leggerrà che, secondo il Magistero, il peccato mortale presuppone tre condizioni: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso. Nel caso Welby tutti i citati elementi erano presenti: materia grave (il suicidio), piena avvertenza (era del tutto consapevole e lucido), deliberato consenso, (la sua volontà di morire non era condizionata da nessuno). Inoltre, sempre secondo il Magistero, se un peccato non viene umilmente confessato, la Chiesa può soltanto rimanere a guardare e pregare ma non può assolutamente somministrare sacramenti o elargire riconoscimenti religiosi (quali il funerale in chiesa).Andrea IardellaLivorno Anche questa settimana diamo ampio spazio a interventi sul caso Welby. Lo facciamo volentieri perché crediamo nel valore del dibattito intraecclesiale, purché rispettoso delle diversità, che anche in queste lettere emergono, e soprattutto volto a confrontarsi e a riflettere.Per quel che riguarda il fatto in sé, e cioè la decisione del Vicariato di Roma «di non poter concedere le esequie ecclesiali», niente ho da aggiungere a quanto scritto sul n. 1 del 7 gennaio.C’è un punto però che va ripreso e approfondito. Si è detto e scritto che la Chiesa in questa occasione avrebbe mancato di misericordia, avrebbe cioè fatto prevalere la freddezza del diritto canonico, oscurando così agli occhi di molti il suo volto materno. Non è accusa di poco conto che fa soffrire, credo, anche quei cattolici che la formulano, dal momento che – come ci ha ricordato il Papa nell’enciclica Deus caritas est «l’amore del prossimo è un compito a tutti i livelli: dalla comunità locale, alla Chiesa particolare fino alla Chiesa universale nella sua globalità».La Chiesa questo compito lo esercita ogni giorno e verso tutti. Basta pensare alle tante opere che danno concretezza all’amore e abbracciano e sollevano le tante povertà, non solo materiali. È una realtà questa che non può essere negata né messa in ombra. Ma la Chiesa, su mandato di Cristo, ha anche il compito di custodire, proclamare e proporre verità e valori, primo tra tutti la sacralità della vita, di ogni vita, dal concepimento fino alla morte naturale. Per questo, di fronte alla strumentalizzazione, direi cinica di una vicenda dolorosa, come quella di Piergiorgio Welby, la Chiesa ha dovuto ricordare questa verità con una decisione che – bisogna riconoscerlo – ha causato sofferenza ma che è stata certamente anche molto sofferta. L’interventoUna replica a Castagnetti:La Chiesa non ha sbagliatoL’intervento di Pierluigi Castagnetti su Europa del 3 gennaio scorso (La mia Chiesa ha sbagliato) offre una caratterizzazione sintomatica del clima cattolico, o meglio di una particolare opinione pubblica laicale, nella sua sicurezza di giudizio non meno che nella sua «moderazione», attenta a evitare ogni impegno sul merito. Quella che pongo è una domanda sul merito (desueta, forse, dovrò scusarmene), se cioè nell’affermare che la «sua» (ma anche mia) Chiesa ha sbagliato egli ragioni, o «senta», correttamente. Né vale, tra persone razionali, che egli pretenda di rappresentare un qualche sentire «dal basso», dall’ecclesia discens, dal sensus fidelium o, come altri hanno detto opinabilmente, dal «sentire comune dei parroci e dei catechisti» (che non compendiano davvero il sensus fidelium). Né vale, per nessuno, una irriflessa autocertificazione della coscienza; che ne è della «coscienza erronea»? e il forum conscientiae non è forse una sede in cui si dibatte?

Ora, nella testimonianza di Castagnetti non vi è propriamente ragionamento, ma empatia e «turbinio di pensieri», «sgomento e disagio», «sentimenti di pietà e sensibilità umana». Compaiono, accanto alla sofferenza per/con Welby, anche (e inevitabilmente) l’insofferenza per «canoni e articoli» (suppongo del Codice di diritto canonico, oltre che del Catechismo) e la singolare opinione che se «una motivazione reattiva e in qualche modo a sua volta politica» fosse (stata) alla base della decisione del Vicariato sarebbe (stata) una motivazione inappropriata, quasi indegna. Davvero spiritualizzazione e privatizzazione della fede hanno fatto passi da gigante nelle teste del cattolicesimo laico-democratico, se il riferimento alla Norma risulta loro insopportabile (e, quello che più conta, incomprensibile) e nutrono l’idea che una decisione rilevante politicamente non rientri nel munus della Chiesa.

Non è così difficile intendere che la misericordia (quella misericordia che non sarebbe stata esercitata verso l’uomo Welby) è invece ben riconoscibile nella sollecitudine erga omnes della Chiesa, in quanto esercitata proprio nel non benedire il dis-orientamento, anzi la corruzione del giudizio pubblico in ordine al giusto e al retto, che l’affaire Welby tenta di indurre. Pratica effettiva, non sentimentalistica ma universalistica, di Misericordia nella Giustizia, dunque, quella decisa dal Vicariato.

L’evidente uso ideologico pubblico della vita e della morte di Welby, non solo da parte dei Radicali, e l’influenza manipolatoria delle emozioni nel superficiale indottrinamento quotidiano alle dolci morti, vietavano ad una ragione ecclesiale responsabile e capace di veri atti di governo l’embrassons nous finale, il «tutto bene quel che finisce bene»; no davvero! Per questo, pensar di affidare il giudizio di opportunità delle esequie religiose di Welby ai sentimenti di un parroco e di una comunità parrocchiale (da chi, poi, e con quale legittimità rappresentata?) appare succube conformità al politicamente corretto.

La ideologizzazione del caso Welby è stata accettata e favorita, anzi coscientemente amplificata, da lui stesso. Non importa se le ultime settimane della vita di Welby hanno costituito per altri, i più riflessivi, l’involontaria quanto potente confutazione dell’argomento che la prosecuzione assistita della sua vita fosse senza dignità e senso. Solo qualcuno ha riconosciuto, in quella vita che per chiedere la propria estinzione doveva vivere e nel negare la propria attuale dignità non poteva che manifestarla, la fallacia insuperabile di ogni negazione che includa necessariamente colui che la argomenta. Quella insidiosa propaganda suicidaria, quella negazione della dignità dell’uomo carente e sofferente (e con ciò di tutto l’uomo) falsificata dalla sua apparente difesa, rientrano nei casi gravi di scandalo pubblico, e restano skandalon, ostacolo o inciampo per il retto credere (e il corretto pensare) sul terreno delicatissimo del suicidio (assistito) attraversato dalle ideologie della buona morte. Qui debbbono manifestarsi nella chiesa, con la loro forza preventiva e sanzionatoria, i «fattori giuridici riguardanti l’elevazione dell’uomo all’ordine soprannaturale». Non offuschiamo nella fusione empatica (e nel gergo ecclesiale di moda) la verità e serietà dei fatti.Pietro De Marcodocente di Sociologia della religioneUniversità di Firenze

Welby e il funerale negato

Caso Welby, il no del Vicariato