Lettere in redazione

Il declino economico e la globalizzazione

Sono abbonato al settimanale da diversi anni e plaudo in pieno all’intervento del sig. Grassini (Toscanaoggi n. 8 del 27 febbraio) sul «Declino del Paese». Certo che la «globalizzazione» fa comodo ad alcuni (importatori, grande distribuzione) e scomodo a tanti italiani che vivono la sindrome del tutti a casa nel posto di lavoro. L’Italia non è la Francia o la Germania (padroni di fatto dell’Europa a 25). Loro hanno la grande industria, esportano tecnologia, impianti industriali, centrali nucleari e armi. Noi abbiamo distretti industriali in affanno, agroalimentare poco protetto, tessile e abbigliamento in affanno per il gigante cinese.

Una ventina di anni fa, forze politiche e culturali ponevano giustamente il problema dell’esaurimento delle fonti di energia alternative. Come cattolico anch’io cerco di vedere le cose in questa cornice e di orientare i miei consumi. A volte i miei figli mi prendono in giro. Gli amici poi… Da parte mia non c’è nessuna iattanza, so di essere dalla parte perdente. Penso a quegli enormi monovolumi a quei Suv inutili. La nostra industria fa dal 2000 modelli competitivi e risparmiosi ma, causa la nostra esterofilia, è troppo dimenticata. Non solo, ma subisce l’attacco spaventoso della concorrenza anche sui veicoli commerciali dove è stata sempre competitiva.

Di fronte al declino economico ci sono domande specifiche che un cristiano deve porsi quando la sera fa il suo esame di coscienza? Sono d’accordo con il sig. Grassini. Noi cattolici non vogliamo parlare di politica, di impegno sociale, di scelte amministrative molte volte subìte, perché ci costa trovare i nessi tra la nostra religione e il vivere come consumatori, come produttori e come contribuenti.A Livorno hanno fatto un interporto che sarà un enorme contenitore di prodotti provenienti dall’Asia. Basterà la cassa integrazione a tamponare crisi sociali? Il nostro sistema economico dove evolverà? Produrremo solo servizi? Saremo i consumatori colonizzati dai franco-tedeschi-asiatici?Torquato ToneriniRufina (Fi) Le domande che lei pone sono interessantissime. Ma le risposte non sono facili. Prendiamo il fenomeno della delocalizzazione, cioè quel processo che spinge i nostri produttori a chiudere stabilimenti e laboratori a casa nostra, per aprirli in aree dove la mano d’opera costa pochissimo e le tasse sono minime. Dal punto di vista dell’occupazione è certamente una iattura. Ma ci sono alternative percorribili? Si delocalizza solo per aumentare i profitti o è una scelta dolorosa, ma necessaria, per poter rimanere sul mercato? E il prodotto finale lo si può ancora considerare italiano? Come vede alle sue domande, ne ho aggiunte altre e posso solo auspicare che il dibattito si ampli. Sul piano personale però la strada che lei ha intrapreso, nonostante le incomprensioni o le derisioni, è quella giusta: sforzarsi di essere consumatori critici che si sentono responsabili davanti al creato e all’umanità, anche quando vanno al supermercato.Claudio Turrini