Lettere in redazione

La crisi e la coda per il nuovo «iPhone»

Già da qualche giorno è in commercio il «tanto atteso» iPhone 5 della Apple, atteso perché, come si è potuto constatare dai giornali e dalla televisione, i patiti di questi apparecchi si sono precipitati in massa nei negozi sin dal primo minuto dalla sua uscita. Sarà pure un periodo di vacche magre, ma all’ultimo telefonino dell’azienda americana non si rinuncia affatto, e no! Solo per il modello base si paga una cifra che quasi quasi si aggira a ciò che prende il sottoscritto in un mese di lavoro fino ad arrivare, se non vado errando, attorno ai 1000 euro (mille!) per quello da più giga!

Da giovane trentenne che sono, mi viene da riflettere – e non poco – a vedere le persone stare ore e ore ad attendere il proprio turno per accaparrarsi questo gioiello (un tale di Pistoia, pur di essere il primo, si è fatto ben 16 ore di fila all’Apple store dei «Gigli»), giovani e non solo, che, pur di avere tra le mani l’oggetto del desiderio si indebitano fino addirittura a finire lo stipendio in un batter d’occhio… Non voglio mettere in discussione assolutamente coloro che hanno o decideranno di acquistare questo telefonino poiché dei propri soldi una persona è libera di farne quello che vuole, ma mi piacerebbe sapere e, perché no, chiedere a codesti signori se a loro della crisi attuale gliene possa interessare qualcosa, anzi, visto come stanno andando le cose credo che essi possono solo arrecare offesa a chi, in questo momento, è costretto a rimanere a casa perché il lavoro non c’è o non lo trova e, quindi, ad andare avanti come meglio può.

Se mi è permesso vorrei rivolgere una domanda sempre a questi signori: sareste disposti a fare la fila (magari anche 16 ore) per aiutare qualcuno in difficoltà? Nel frattempo, continuerò a riflettere cercando di darmi una spiegazione o, se qualcuno è ben disposto, ad aiutarmi a cercarla!

Giovanni FrosaliPrato

«La vita in Italia è la vita di un Paese benestante. I consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni. Si fatica a prenotare un posto sugli aerei. I luoghi di vacanza, nei ponti, sono assolutamente iperprenotati». Fecero scalpore queste affermazioni rilasciate dall’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a margine del G20. Era il 5 novembre del 2011 e Berlusconi cercava di difendere con le unghie la credibilità del suo governo che di lì a pochi giorni sarebbe stato travolto per lasciare il posto all’esecutivo «tecnico» di Mario Monti. Voleva negare a tutti i costi che ci fosse una «crisi» per l’economia del Paese. Semmai, disse, c’è qualche problema causato dall’euro, gestito male dal governo del tempo che accettò un cambio penalizzante. «Una volta – esemplificò – una famiglia con due milioni di lire poteva vivere. Oggi con mille euro è difficile che viva. Con 80 euro si ritorna dal supermercato con un carrello che non contiene molte cose. Una volta con 80 mila lire si ritornava con un carrello pieno».

Furono espressioni improvvide, che sicuramente non piacquero alla stragrande maggioranza degli italiani. Ma pur dette male, contenevano un germe di verità. Non è vero che con questa crisi siamo «tutti» più poveri. C’è chi ne ha risentito pesantemente, come i pensionati con redditi bassi, chi ha perso il lavoro o chi ha dei figli. La fila di italiani che bussano alle parrocchie o ai centri di ascolto della Caritas, aumenta di continuo. Ma c’è anche chi ha continuato tutto come prima. Quello che è certo è che è aumentata la disuguaglianza sociale e si è erosa la capacità di risparmio delle famiglie. Accanto ad una minoranza che si può permettere vacanze esotiche, auto di lusso, pranzi e cene in ristoranti costosi, c’è una maggioranza costretta a frenare i consumi, ad usare meno l’auto, a rinunciare a qualche vestito. E che non crede più, come avevano fatto le generazioni precedenti, dal dopoguerra in poi, in un futuro migliore per sè e per i propri figli.

Però questo non spiega del tutto fenomeni come quello che ha sorpreso il nostro lettore. In fila ai «Gigli», fin dalla notte, non c’erano solo rampolli di famiglie benestanti. Non ho nessun dato oggettivo per affermarlo, ma sono sicuro che in fila c’era anche chi ha fatto grossi sacrifici o si è indebitato per accaparrarsi l’ultimo iPhone. Qui entra in gioco la capacità pervasiva della società dei consumi. Facciamo sacrifici, prosciughiamo i nostri risparmi, ci lamentiamo, ma non rinunciamo facilmente a certi status symbol. E l’ultimo nato in casa Apple è uno di questi.

Claudio Turrini