Lettere in redazione

Le armi degli eroi non sono tutte uguali

Chissà perchè un eroe ha sempre qualcosa a che fare con le armi? Mi riferisco ai fatti recentemente accaduti, nello stesso giorno sono morti 7 italiani. Sei erano militari, ad essi si sono dedicate le prime pagine di tutte le testate cartacee e web durante e dopo il tragico fatto. Si sono tributati tutti gli onori , funerali di stato e così via. L’altro era un missionario al quale si sono dedicate poche notizie nell’immediato e poi più niente.

Dei sei militari si è detto che sono caduti nell’adempimento del loro dovere, che hanno combattuto contro il terrorismo, per la pace, per proteggere i valori della loro patria. Di don Ruggero che è stato ucciso probabilmente da dei tossici per pochi spiccioli.

Non sono adirato contro i militari, ho diversi amici fra di loro, e tutti sono convinti di fare il loro dovere di buoni cittadini e patrioti. Sono arrabbiato con una certa informazione, da qualunque parte derivi, che cerca di manipolare le coscienze in maniera da indurre a pensare che quella delle armi sia l’unica logica di pace possibile, contrariamente a quello che ci ha dimostrato la storia.

É vero ogni eroe non si muove disarmato ed anche don Ruggero andava armato della sua arma. Più potente di tutte le atomiche, si chiama Croce. Anche lui ha combattuto contro il terrorismo, la fame, l’ingiustizia, ed è caduto nell’adempimento del proprio dovere di cristiano : portare Gesù fino ai confini del mondo.( la Pace). Il mondo che è la sua patria fino all’avvento del Regno di Dio. E non è vero che non si è difeso. Da quell’arma onnipotente (la Croce) ha provato a sparare proiettili di perdono, di riconciliazione. Probabilmente con ancora più forza verso coloro che lo stavano uccidendo e verso di noi perchè capiamo che solo quella può essere la logica della Pace.

Mauro GiolliLivorno

Non posso che condividere, caro Mauro, quello che lei scrive. Soprattutto nel finale.

Per il resto posso solo cercare di spiegare certe regole dell’informazione per cui anche noi abbiamo finito per «relegare» la notizia dell’uccisione di don Ruggero nella rubrica «Sette giorni nel mondo» (BRASILE, UCCISO IN AMAZZONIA MISSIONARIO ITALIANO).

L’avere dato molto più spazio all’altra notizia è dovuto alla dinamica dell’uccisione (un attentato di vaste proporzioni), al numero complessivo di morti (i 6 militari italiani più alcuni civili) e alla «vicinanza» per noi del fatto (nel senso che i sei paracadutisti venivano tutti da caserme toscane, non erano toscani ma alcuni di loro vivevano nella nostra regione anche con le rispettive famiglie). Eppoi erano tutti molto giovani, alcuni erano padri con figli piccoli. Per questo abbiamo parlato non di eroi ma di «nostri» ragazzi e di sacrificio.

Noi, ad esempio, non crediamo assolutamente che quella «delle armi sia l’unica logica di pace possibile». Non a caso nell’editoriale del numero scorso, Romanello Cantini parla di interrogativi e di rischi di quella che definisce una guerra a tutti gli effetti, anche se l’intento è quello di arrivare a sconfiggere il terrorismo e a portare l’Afghanistan alla piena realizzazione della democrazia.