Lettere in redazione

Mio fratello, martire della fede

Caro Direttore,da fratello a fratello: «Tu vai “laggiù”, ma è pericoloso…. potresti essere ucciso». «Oh, se fosse vero, ma io non sono degno del martirio».

Queste due brevi frasi furono dette da mio fratello Francesco, maggiore e da Padre Pietro mio fratello minore (Pime): eravamo negli anni ’40. Dopo due anni di missione, in Birmania, Padre Pietro fu assassinato insieme a un suo confratello (1948-1950). Ora ogni «24 marzo» si celebra la Giornata della memoria dei Martiri cristiani! È una giornata come tutte le altre, la maggioranza della gente non se ne accorge, ad eccezione di pochi…: è la Chiesa, madre nostra, che ci raduna in preghiera a ricordo di coloro che hanno versato sangue. Non è sangue comune a tutti gli uccisi per futili motivi o per ragioni importanti, ma sangue «fecondo», sangue che ci richiama a Cristo, donatosi per amore! Questi martiri non sono da meno, anch’essi si sono donati per lo stesso amore. Partono felici, predicano col sorriso e vanno incontro alla morte, pregando e perdonando: sono tanti Cristi. Essi donano a noi, poveri peccatori, una speranza per la nostra salvezza! Sì perché la loro missione è immensa, anche se in pratica è circoscritta da una piccola capanna! Quell’immensità si riferisce alla loro promessa di amare il mondo, tutti indistintamente, seguendo l’insegnamento di Gesù, loro Maestro.

Così nel ricordo di tutti i martiri cristiani ho voluto ricordare mio fratello, Padre Pietro.

Gino GalastriFirenze Il ricordo affettuoso che lei, caro Galastri, fa di suo fratello, missionario del Pime, ucciso in Birmania nel 1950, ci dà l’occasione per ricordare ancora una volta i tanti sacerdoti, religiosi e laici che in vari Paesi del mondo hanno testimoniato il Vangelo fino all’effusione del sangue. L’abbiamo fatto ampiamente sul n. 12 in occasione del 24 marzo quando si celebra in tutto il mondo la Giornata di preghiera e di digiuno, promossa dal Movimento giovanile delle Pontificie Opere Missionarie, per far memoria dei missionari uccisi – nel 2006 sono stati ben 24 di cui 3 italiani– che sono, come recitava il tema scelto quest’anno, «speranza per il mondo» perché ci fanno toccare con mano che ci sono persone che per il Vangelo sanno farsi tutto a tutti fino a dare la vita.Ma questi testimoni della fede ci ricordano anche che le persecuzioni – nelle varie forme, non necessariamente cruente – «non mancano mai alla Chiesa» e che «se a pochi il martirio è concesso, devono però tutti esser pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce» («Lumen gentium», § 42).

Questo è avvenuto nel passato ed avviene anche oggi. In molti Paesi, infatti, soprattutto, ma non solo, in quelli dove domina l’integralismo musulmano, i cristiani – che sono minoranza, ma spesso numerosa e significativa anche storicamente: basti pensare alla Palestina e all’Iraq – vengono discriminati, emarginati e perseguitati e messi quindi, soprattutto i giovani, nella condizione di abbandonare il paese.

Tutto questo avviene in genere in una diffusa indifferenza che oggettivamente diviene complicità. Solo il Papa fa sempre sentire la sua voce accorata. Proprio per rompere questo silenzio si è tenuta a Roma il 4 luglio una Manifestazione, promossa dal giornalista Magdi Allam musulmano – e questo la dice lunga sulla nostra…. timidezza – per «salvare i cristiani» e più in generale per riaffermare il valore della libertà religiosa che va garantita sempre e ovunque. A quest’incontro hanno partecipato oltre ai cristiani dalle varie denominazioni anche esponenti della Comunità ebraica e musulmana per sensibilizzare al problema l’opinione pubblica e far sentire a questi fratelli di fede la nostra vicinanza e il nostro affetto. Ma anche per sollecitare i Governi occidentali – compreso il nostro – a far pressione su quei Paesi che non rispettano la libertà religiosa, avendo anche il coraggio – sono parole del coordinatore della manifestazione –  «di dire no a tutti gli accordi e a ogni possibile intesa o affare economico e commerciale».