Lettere in redazione

Se le banche scherzano… col Vangelo

Caro Direttore,a pagina 4 del numero 4 di Toscanaoggi (30 gennaio) è stata pubblicata, a mio avviso, una pubblicità enormemente scandalosa, di fronte alla quale c’è da rimanere inorriditi. Si tratta di una pubblicità di una serie di banche, che va sotto il nome di Convenzione Bancaria, e che strumentalizza per fini puramente economici la frase evangelica «Signore, mi hai consegnato 2 talenti: Vedi, ne ho guadagnati altri due» (Mt 25,22). Anzitutto è fuori luogo citare frasi evangeliche per altri scopi che non siano quelli per cui il Signore le ha pronunciate. E non credo proprio che abbia detto quella frase per dare una mano alle banche, che, fra l’altro non ne hanno proprio bisogno. Non si scherza con la parola della Scrittura e tanto meno la si può usare per il dio Mammona. E Cristo non è certamente venuto per servire Mammona e penso che anche la sua Chiesa non può e non deve servire il Denaro, anche se le Banche sono i grandi templi di Mammona. Inoltre, che le banche citino quella frase evangelica è fuori luogo anche per un altro motivo: risulta proprio che in banca voi ci portate due e vi diano il doppio? Semmai tutt’al più vi daranno la metà, se vi va bene. Basti pensare che cosa ci guadagnano i piccoli risparmiatori. Provare per credere. Ed è noto come tante persone che non possono avere prestiti dalle Banche, sono costrette a cadere in mano agli usurai. Ed anche quando le banche fanno dei prestiti, i tassi di interesse sono alla portata di tutti? Un Settimanale cattolico non dovrebbe mai cascare in questi trabocchetti pubblicitari anche se dovessero fruttare un sacco di soldi. Meglio essere poveri che cadere in certe trappole.Franco CerriLucca Caro Direttore,sono un vostro abbonato da diversi anni e ho sempre apprezzato molto i vostri articoli per chiarezza e competenza sia sulla vita della Chiesa sia sulle problematiche di oggi; mi ha quindi sorpreso molto la pubblicità effettuata da alcuni istituti bancari sulla pagina 4 nel numero del 30 gennaio 2005, nella quale viene addirittura associata una frase del Vangelo a detti istituti bancari. Mi è sembrata una pubblicità del tutto inopportuna e ingannevole, nessuna banca dà il doppio del capitale investito; ed in secondo luogo irrispettosa verso quelle persone, famiglie che hanno investiti i loro pochi risparmi e li hanno visti svanire erosi dalle spese e dai tassi irrisori. Io credo che il vecchio adagio: «Scherza con i fanti ma lascia stare i Santi» sia un motto valido anche per la pubblicità.Andrea ZambonPrato Sono pienamente d’accordo con te, caro don Franco e con gli altri lettori che ci hanno scritto sullo stesso argomento oltre ad Andrea Zambon. La Convenzione Bancaria Re per la sua pubblicità usa vari bozzetti: quello a cui fai riferimento, che gioca su una versetto del Vangelo di Matteo, è come minimo di cattivo gusto e un Ente, che si rivolge particolarmente al mondo cattolico, dovrebbe evitare queste cadute di stile. Le parole del Signore hanno per noi ben altro fine che quello di consigliarci a quali Banche rivolgersi. Inoltre quella pubblicità non è neppure veritiera come ci ricordano gli estratti conto che sempre più spesso vedono noi… debitori verso le Banche! Detto questo però è d’obbligo dar ragione del perché questa pubblicità è stata accolta. Il contratto, sottoscritto dalla Cooperativa Firenze 2000, editrice del Settimanale, prevede la pubblicazione di un pacchetto di messaggi pubblicitari con vari bozzetti in genere del tutto accettabili. Il bozzetto «incriminato» fa parte di questo pacchetto. Comunque assicuro che l’Amministrazione ha preso contatto con la Convenzione Re, ha fatto presente il nostro disagio e ha dichiarato che, in un prossimo contratto, non potremo impegnarci a pubblicare messaggi di questo tenore. D’altra parte un Settimanale cattolico – come ogni altro giornale – oggi non può fare a meno della pubblicità: non si tratta di essere poveri, ma di reperire il necessario ossigeno per continuare e potenziare il nostro servizio, ossigeno di cui in genere il mondo cattolico è avaro nei confronti di mezzi di comunicazione che dovrebbe sentire maggiormente suoi, anche se non mancano lettori che capiscono bene questi problemi e corrispondono con generosità oltre la quota di abbonamento.