Lettere in redazione

Un popolo di giocatori con lo Stato «biscazziere»

Il nostro Paese è diventato in gran parte un popolo di «giocatori». L’Italia è il secondo (c’è chi dice il primo) mercato mondiale del gioco d’azzardo nelle sue varie forme, grazie ai cedimenti e ai compromessi dello Stato. Ho letto che i giochi d’azzardo (Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci, Videogiochi…) rappresentano la terza industria in Italia: versa allo Stato tanti soldi e dà anche lavoro. Ma allo stesso tempo continua a distruggere la vita di migliaia di persone e di famiglie, che finiscono con l’indebitarsi per continuare a giocare. In Italia il fenomeno del gioco d’azzardo è ormai fuori controllo: alle 800 mila persone malate di gioco c’è chi dice che se ne possono aggiungere altrettante, se non di più, ad alto rischio. In molti Paesi del mondo lo hanno già capito da un pezzo: di gioco ci si ammala. Da noi, invece, la pubblicità non fa altro che spingere a continuare a giocare.

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E’ proprio vero. Da noi la pubblicità non fa altro che spingere verso il gioco d’azzardo, con un ulteriore elemento di ipocrisia: l’invito finale in molti spot a giocare con moderazione. È un controsenso, così com’è fortemente contraddittorio che sia lo Stato a fare da «biscazziere», a guadagnare al momento e a pagare poi con gli «interessi» le conseguenze per il disagio sociale che provoca, soprattutto in un momento di difficoltà economiche come l’attuale, che può spingere, illusoriamente, più che in altri tempi, a sognare il colpo di fortuna. È un fatto altamente diseducativo se si pensa che il gioco d’azzardo si sta diffondendo anche tra i giovanissimi: si parla di un adolescente su dieci che giocherebbe mensilmente dai 30 ai 50 euro. In questo, un ruolo negativo lo svolge anche internet. È necessario quindi che la qualità della vita migliori, ma non solo da un punto di vista economico, quanto e soprattutto dal punto di vista del convincimento che il nostro futuro (almeno fino a che non ci mette le mani il Padreterno) dipende solo da noi, non certo dalla sorte.

Andrea Fagioli