Lettere in redazione

Una politica in attesa di uno scatto in avanti

Carissimo direttore, sento impellente la necessità di esternare i miei sentimenti su quello che è ormai noto come il «caso Ruby». Le circostanze della vicenda sono note a tutti, e non è qui il caso di ricordarle.

Per la verità, dopo lo sbigottimento iniziale, mi sono interrogato su quale fosse il sentimento che provavo: indignazione? vergogna di appartenere ad una società così detta civile, nella quale si sono sostituiti i valori con i disvalori? senso di colpa per essere fra quelli che non riescono ad organizzarsi dal basso per cambiare il modo scandaloso con il quale il Potere usa ed abusa delle istituzioni?…

Alla fine ho scoperto in fondo al mio animo un sentimento di pietà. Pietà per questo nostro sciagurato Paese; pietà per le tante famiglie – delle quali ho vasta esperienza diretta – che affrontano quotidianamente pesanti incertezze anche per colpa di una politica socio-economica inconcludente, di fronte alle spensieratezze e alle brighe di chi dovrebbe guidarci verso una società più giusta. Pietà per la giovane, ad un tempo vittima e complice della vicenda, che potrebbe essere rappresentativa di tante storie simili alla sua. Pietà perfino per l’autore del fatto, del quale non sono in grado di valutare i risvolti penali, ma che considero abietto e irresponsabile sotto l’aspetto della morale civile.

A questo si accompagna, pur nel rispetto di ogni opinione, un senso di fastidio nei confronti dei tanti concittadini – specialmente fra i cattolici – che non riescono ad affrancarsi dall’incantesimo di questo giocoso e ciarliero pifferaio magico, che, a suon di solenni annunci-barzelletta e di barzellette più o meno blasfeme, ci conduce verso il nulla. Suggerirei loro di rileggersi il profeta Amos: «Guai agli spensierati in Sion… ai notabili della prima fra le genti… Essi, che giacciono su letti d’avorio e poltriscono sui loro divani, che mangiano agnelli del gregge e vitelli della stalla. Essi, che canterellano al suono dell’arpa… Essi che bevono vino dalle anfore… non si affannano per il crollo d’Israele. Perciò ora saranno deportati alla testa dei deportati, e cesserà l’orgia dei buontemponi».

Andrea GoriPrato

Caro direttore, riguardo al «caso Ruby», il presidente del Consiglio Berlusconi, a margine di un importantissimo vertice internazionale, il 29 ottobre ha detto: «Amo la vita, amo le donne, lavoro moltissimo e, ogni tanto, sento il bisogno di una serata distensiva, di una terapia mentale per pulire il cervello…. Fa parte della mia personalità e non c’è nessuno che può farmi cambiare uno stile di vita di cui sono convinto».

Anch’io sono convinto direttore, e con me penso tanti italiani, che da un presidente del Consiglio in Italia, dopo aver avuto De Gasperi, Fanfani, Moro e altri, possiamo e dobbiamo aspettarci di più, molto di più. Sia nel parlare, come ha scritto «Avvenire», sia nello «stile di vita». E questo anche come esempio e messaggio ai più giovani.

Giovanni ManecchiaGhezzano – Pisa

Calunniate calunniate, qualcosa resterà» consigliavano i padri dell’illuminismo Bacone e Voltaire ai loro discepoli anticlericali affinché demonizzassero la religione cattolica. Consiglio fatto proprio da chi vuole accelerare la caduta del governo Berlusconi. In Italia, è prassi consolidata che i nipotini di Stalin saldamente affratellati ai cattolici adulti (quelli che hanno scambiato il Concilio Vaticano II per un Vaticano III), quando non riescono a gabbare gli elettori con le armi della dialettica e della democrazia, provano ad annientare gli avversari con tutti i mezzi immaginari possibili, compresi quelli moralmente riprovevoli.

Dopo il fallimento degli amici magistrati in casacca rossa, le truppe cattoprogressiste hanno pensato di disarcionare il cavaliere nero laddove, si sa, è più «debole»: le donne. Per sua stessa ammissione, il più amato e votato dagli italiani, ha però onestamente ammesso di non essere un santo. Se ai sinistri «moralizzatori», vale a dire coloro che alle donne prediligono i «diversamente orientati» venisse chiesta la prova del «chi è senza peccato scagli la prima pietra», se ne vedrebbero delle belle.

Onestà intellettuale pretenderebbe che le abitudini individuali di un qualsivoglia cittadino venissero lasciate nell’ambito della sfera privata. Purtroppo in Italia la politica va di pari passo con la mutazione dei costumi, cioè «diversamente funzionante». La decadenza morale in cui l’Italia massonico risorgimentale è finita, ha generato uno stato di cose per cui fare gossip equivale ad un atto politico.

D’altra parte c’è chi ha diagnosticato che in virtù delle frequentazioni femminili, Berlusconi è un malato , come pensare di innalzare il livello culturale ed etico degli italiani? E per rimanere sul piano della corretta informazione, qualità che dovrebbe contraddistinguere un media cattolico, è possibile sapere le ragioni per cui certa stampa cattolica non ha speso una parola circa i gusti sessuali di Boffo, Vendola, Marrazzo e Sircana? Par condicio non avrebbe preteso che almeno si parlasse di «piccoli malati»? O forse qualcuno ritiene che il «vizietto» delle donne sia più grave dell’accompagnarsi a gay, trans, effeminati e travestiti?

Gianni Toffaliindirizzo email

Caro direttore, praticamente non passa mese che qualche lettore non scriva per accusare il vostro giornale di faziosità (si tratta in genere di simpatizzanti del centrodestra: evidentemente nel centrosinistra si è più abituati a tollerare le critiche).

Di fronte a queste lagnanze, a parte la solidarietà nei vostri confronti (perché davvero, ripeteva Alberto Migone, Toscana Oggi «non tira la volata a nessuno»), si prova sgomento e amarezza, nel vedere quanta gente si rifiuta di ammettere che i politici della propria parte possano sbagliare e debbano sottostare al giudizio dell’opinione pubblica.

In nome della devozione al «capo» si accetta tutto, perfino una campagna inqualificabile come quella scatenata contro Boffo (reo di aver censurato comportamenti davvero indifendibili di Berlusconi). Ma – mi chiedo – la fiducia cieca, «a prescindere», in un leader non è una forma di idolatria? e i credenti non dovrebbero essere i primi a esercitare lo spirito critico in ogni direzione, con piena libertà evangelica?

Francesco MichelazzoFirenze

Non entro nel merito su chi è più o meno tollerante a sopportare le critiche, ma ringrazio l’amico Francesco Michelazzo per aver ricordato quella frase di Alberto Migone che noi, in redazione, abbiamo fatto nostra da tempo: «Toscana Oggi» non tira la volato a nessuno. Lo abbiamo ribadito più volte. Noi cerchiamo di fare il nostro lavoro con onestà. Niente di più. Anche per questo pubblichiamo alcune lettere, di tenore diverso, sulle recenti vicende che hanno riguardato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Ad onor del vero, la percentuale di quelle arrivate a favore rispetto a quelle contro è quella rispecchiata qui: una su quattro. Segno, io credo, che in certe cose si stia passando il limite. Senza entrare, anche in questo caso, nel merito della vita privata delle persone (di cui, in realtà, non è dato sapere e poi, forse, ha ragione Toffali: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra!»), limitandoci pertanto alle affermazioni, quelle recenti di Berlusconi non possono non preoccupare: quelle sulle ragazze e gli omosessuali, ma anche quelle sui giornali, che a suo giudizio non andrebbero più letti.

Effettivamente, come scrive l’amico Giovanni Manecchia, da un presidente del Consiglio ci dobbiamo aspettare di più. Ma non solo da lui: ce lo dobbiamo aspettare da tutta una classe dirigente che sembra aver smarrito il senso stesso della politica.

Ne parliamo anche nell’editoriale di questa settimana (Idee nuove e partecipazione per riconciliarsi con la politica) a partire dalle parole del cardinale Angelo Bagnasco, in apertura dell’assemblea dei vescovi italiani, a proposito di un’Italia che «galleggia», «inceppata nei suoi meccanismi decisionali», con «una caduta di qualità», «mentre il Paese appare attonito e guarda disorientato», in attesa di «uno scatto in avanti concreto e stabile verso soluzioni utili al Paese e il più possibile condivise».

A questo «scatto in avanti» i cattolici dovrebbero dare, nella comune Appartenenza, un contributo sostanziale, anziché perdersi nel rivangare polemiche frutto di un’appartenenza in schieramenti contrapposti che ha già fatto troppi danni e che soprattutto fa il gioco di chi ci vuole residuali, insignificanti e zitti da una parte.

Andrea Fagioli