Mondo

Amen anziché «mi piace». Pregare in Africa con i nuovi social

PrayerBox è una piattaforma a indirizzo religioso a metà tra Facebook e Twitter messa a punto da Adebambo Oyekan Oyelaja, un giovane programmatore nigeriano. Gli utenti si stanno moltiplicando e si registra inoltre una interessante convergenza interreligiosa con l'islam.

Preghiere nei post, Amen invece del solito «mi piace», ma anche followers come su Twitter e la possibilità di raccontare le proprie testimonianze e postare versetti biblici. È PrayerBox, una nuova piattaforma social a indirizzo religioso a metà tra Facebook e Twitter. Di social network per fedeli ne esistono già come Iclesia, Deospace e Instapray, ma Prayerbox ha la particolarità di mettere in connessione intere comunità religiose tra loro, tra queste e i fedeli, tra i fedeli e le autorità religiose, di poter effettuare donazioni e offerte e di poter visualizzare i calendari religiosi. Soprattutto Prayerbox ha la peculiarità di essere stato creato da Adebambo Oyekan Oyelaja, un giovane programmatore nigeriano che vive e lavora nel Paese africano martoriato dai costanti attentati della setta islamista di Boko Haram. «È interessante notare che proprio come Twitter – dice Oyelaja – abbiamo inserito hashtags per consentire agli utenti di pregare in gruppo. Grazie a questo strumento abbiamo poi visto un enorme numero di preghiere condivise per i tristi attentati avvenuti in Nigeria degli insorti di Boko Haram».

La preghiera 2.0. La Nigeria è un Paese diviso in due, tra cristiani e musulmani, il 50% circa professa l’islam prevalentemente sunnita, il 48% il cristianesimo. E le difficoltà che questo comporta sono sotto gli occhi di tutti. Ma il progetto di Adebambo Oyelaja ha in qualche modo avvicinato i fedeli nigeriani dando loro la possibilità di condividere le proprie storie e le proprie preghiere con il mondo intero. Ed è curioso che all’origine dell’idea progettuale ci sia una problematica che colpisce tanti nel mondo: «Prayerbox nasce da una storia interessante», spiega Oyelaja. «In quanto programmatore mi capitava spesso di lavorare sui software sino a tarda notte e alle prime ore del mattino durante il fine settimana. Questo mi faceva perdere le funzioni religiose. Il mio pastore era curioso di sapere perché mancavo alle funzioni e dopo avermi ascoltato mi ha sfidato nel mettere le mia capacità di sviluppatore al servizio di buone cose. Ho notato quindi una tendenza crescente delle persone nel condividere preghiere sui social network. Avvertivo che i comuni social erano lontani dai contenuti religiosi a causa delle molte distrazioni che i social stessi offrono. Così ho deciso di costruire una piattaforma dedicata ad aiutare le persone a pregare meglio, spesso e socialmente». 

L’ecumenismo della rete. Definire Prayerbox un social network cristiano non è corretto. In pochi mesi ha raggiunto circa un centinaio di migliaia di utenti e oltre cinquecentomila post di preghiera. E diverse migliaia degli utenti iscritti sono musulmani, felici di poter interagire e pregare insieme ai loro fratelli cristiani: «Io e tutto lo staff – osserva Oyelaja – comprendiamo la presenza nel mondo di diverse chiese e diversi culti e per questo cerchiamo il più possibile di costruire strumenti per soddisfare tutti. Stiamo anche assistendo a una grande quantità di impegno tra le varie comunità religiose. E oltre ai cristiani, abbiamo visto iscriversi sulla piattaforma fedeli dell’islam e condividere le loro preghiere sulla piattaforma». Insomma Prayerbox è davvero uno strumento ecumenico e interreligioso, che racchiude in sé la capacità di vivere in comunione con i fratelli. 

E se anche Bergoglio… E chissà se Papa Francesco dopo Twitter si iscriverà a Prayerbox: «Probabilmente il pontefice ha sentito di Prayerbox – conclude Oyelaja -. Ma sarebbe bello vedere il Papa utilizzare un servizio come questo per pregare per il mondo. Intanto abbiamo un certo numero di pastori nigeriani e di altre parti del mondo che già utilizzano la piattaforma». E Prayerbox conferma dal canto suo che l’Africa non è solo quel luogo di sfruttamento e disperazione che riempie le pagine dei giornali. È una terra che può costruirsi da sola il proprio futuro anche attraverso la sfida che la rete ha lanciato al mondo e alla fede.