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Bengasi non ci sta a seguire il destino di Mosul

Venerdì scorso, a 24 ore dall'annuncio della instaurazione di un «emirato islamico», circa 2mila persone sono scese nelle strade della città cirenaica per manifestare contro il gruppo fondamentalista. Il vicario apostolico, monsignor Sylvester Magro, conferma che in città c'è ancora una certa libertà di movimento. Intanto si è riunito, in seduta ufficiale, il Parlamento eletto il 25 giugno.

“In questi giorni cerchiamo di stare al riparo, perché non si sa cosa possa capitare fuori. Usciamo solo per celebrare la messa nelle case dei cristiani o per andare all’ospedale, poi torniamo subito indietro”. La testimonianza da Bengasi del vicario apostolico, monsignor Sylvester Magro, arriva a pochi giorni dall’annuncio dei fondamentalisti islamici di Ansar al-Sharia, che sostengono di aver conquistato la città instaurandovi un “emirato islamico”. La situazione, tuttavia, stando alle testimonianze che giungono dal capoluogo della Cirenaica, sembra essere più complessa: già venerdì, a 24 ore dalle parole del portavoce degli islamisti, circa 2.000 persone erano scese in strada in città per manifestare contro il gruppo fondamentalista. “Bengasi non sarà un’altra Mosul”, era uno degli slogan, con riferimento alla città irachena conquistata dalle forze dello Stato Islamico.

Il centro di Bengasi ancora libero. Pur specificando che i religiosi presenti a Bengasi sfruttano con “prudenza” questa possibilità, anche mons. Magro conferma che esiste una certa libertà di movimento: “Noi siamo nella città antica che è parte integrante di Bengasi e – anzi – è vicino al porto, mentre i combattimenti si sono svolti alla periferia della città: ogni giorno riusciamo comunque ad uscire per celebrare la messa”. Le milizie rivali si sono scontrate circa “a undici chilometri” dall’area dove si trovano i religiosi, precisa il vicario e anche sabato, continua “non ci sono stati” scontri, in una situazione di “silenzio totale”. Due settimane di combattimenti, sia a Bengasi che a Tripoli, hanno provocato oltre 200 morti e 900 feriti, secondo una nota del ministero della Sanità libico. Se questa situazione non cambierà, ha lanciato l’allarme la Mezzaluna Rossa libica, “almeno 2 milioni di persone potrebbero essere a rischio per una grave scarsità di cibo”. I libici, spiega una nota dell’organizzazione umanitaria, “tendono ad avere riserve di cibo sufficienti nelle case”, ma i depositi più importanti “si trovano nelle zone dei combattimenti”, cosa che ha portato ad una “scarsità negli approvvigionamenti”, aggravata da una parallela mancanza di carburante. Le disponibilità, però, sembrano cambiare molto da zona a zona. Da parte sua mons. Magro testimonia che “per adesso la situazione resta calma” e non ci sono grandi problemi di approvvigionamento: “Non manca nulla, abbiamo anche la benzina – conferma il presule – e in città sono molti i negozi aperti”.

Nuovi rimpatri di civili. Notizie di difficoltà maggiori erano arrivate nei giorni scorsi da Tripoli, dove però la vera emergenza sembra essere ancora rappresentata dalla fuga dei civili. Nella mattinata di domenica è giunta la notizia che una nave della marina britannica, la Hms Enterprise, è stata impegnata nell’evacuazione di circa 108 occidentali, in maggioranza cittadini del Regno Unito. Saranno invece rimpatriate con un ponte aereo le migliaia di egiziani che hanno lasciato la Libia tramite il valico di Ras Jedir alla frontiera tunisina, chiuso e poi riaperto negli scorsi giorni; l’evacuazione, ha spiegato Naceur Essid, direttore dell’ufficio tunisino per gli Affari consolari, procederà al ritmo di 2000 persone al giorno. Per sovrintendere a un’operazione di rimpatrio riguardo circa 13mila lavoratori filippini, inoltre, un funzionario è stato inviato in Libia dal governo di Manila. Le operazioni, spiega mons. Magro, dovrebbero prendere il via da Tripoli mentre a Bengasi “non sono ancora iniziate, ma secondo alcune informazioni che ci sono arrivate, qualcuno dell’ambasciata dovrebbe venire anche qui”. Secondo il ministero della Sanità, il sistema sanitario sarebbe “a rischio di collasso” se dovessero partire anche i circa 3000 filippini impiegati nel settore. A Bengasi, però, al momento gli ospedali funzionano ancora: “Sono rimaste anche le infermiere indiane”, racconta il vicario.

Riunito il Parlamento. in questo contesto di grande incertezza si è riunito – “in maniera informale”, come è stata specificato – per la prima volta il Parlamento eletto il 25 giugno scorso, che successivamente ha tenuto, nella giornata di lunedì, la seduta inaugurale ufficiale a Tobruk, nell’est. Alla prima riunione informale, avvenuta nella stessa città, hanno partecipato 160 eletti su 188. Secondo alcune analisi, i deputati assenti sarebbero quelli d’ispirazione islamista, intenzionati a boicottare le sedute. È impossibile però verificare per ora le cifre, riportate dall’agenzia francese Afp, in maniera indipendente.