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Caritas internationalis, nel 2016 mobilitazione per chiedere la fine della guerra in Siria

Dodici mesi di campagna per la pace in Siria. La lancia, a inizio 2016, Caritas internationalis, puntando «a mobilitare milioni di sostenitori in tutto il mondo per chiedere la fine della guerra di cinque anni che ha distrutto la Siria, destabilizzato la regione e causato una delle più grandi crisi di rifugiati dei tempi moderni». 

«Non vogliamo pane, vogliamo pace. Sì, pace come condizione di vita», chiede il vescovo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, monsignor Antoine Audo. «I leader mondiali – precisa il presule – devono riconoscere che non c’è una soluzione militare per la Siria, solo una politica. La comunità internazionale deve sostenere i colloqui di pace verso la costruzione di un governo di unità nazionale che venga dall’interno della Siria», e al tempo stesso «cessare la fornitura di armi». «Guerra e pace in Siria sono certamente nelle mani delle grandi potenze. Ciononostante – osserva il vescovo –, tutti possiamo contribuire al raggiungimento della pace. Innanzitutto, dobbiamo desiderarla sinceramente e credere profondamente che la pace è possibile. Per farlo, dobbiamo ascoltare il popolo siriano che vuole vivere in pace». In questi cinque anni, lamenta monsignor Audo, il Paese è stato «saccheggiato della sua bellezza» e ora è una nazione «povera».

«Abbiamo perso i nostri medici, ingegneri, dirigenti industriali, la nostra comunità imprenditoriale, i laureati e la forza lavoro qualificata. Ognuno è diventato povero, sia materialmente sia moralmente a causa della violenza e dell’estremismo religioso». Ma «la Siria non può essere descritta solo dai 5 anni di guerra, quanto piuttosto dai 3.000 anni di civiltà, di convivenza e di cooperazione tra popoli di diversa provenienza. La Siria è stata in passato forte e bella, ed è con quella storia – precisa monsignor Audo – che aspiriamo a ritrovare questa bellezza e forza della vita nel futuro».

Caritas internationalis chiede quindi di far ripartire i negoziati coinvolgendo tutte le parti in causa. «Il primo passo – riporta una nota – dovrebbe essere un significativo cessate il fuoco, con impegni concreti assunti da tutte le parti. La pace deve venire dall’interno della regione e non può essere imposta dall’esterno».