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Charlie Hebdo sceglie di nuovo la strada della satira violenta

Reazioni nel mondo cattolico e musulmano per la caricatura di un Dio barbuto, sanguinante e «assassino» che il periodico satirico francese Charlie Hebdo ha scelto per commemorare l'attentato alla redazione di un anno fa. I vescovi ritengono che non è il genere di polemiche di cui la Francia oggi ha bisogno. Il direttore de La Croix parla del «coraggio del perdono», mentre gli imam si dicono «feriti» e definiscono la vignetta una «occasione mancata» per costruire il «vivere insieme».

Un Dio barbuto, con una raffigurazione tipicamente cristiana, un kalashnikov sulle spalle e gocce di sangue rosse su una tunica bianca. E la scritta: «1 an après. L’assassin court toujours». Così il periodico satirico francese Charlie Hebdo ha deciso di commemorare l’attentato di un anno fa. Erano le 11.30 del 7 gennaio 2015 quando due individui in tuta nera sono entrati nella redazione parigina di Charlie sparando all’impazzata al grido in lingua araba Allāhu Akbar («Allah è grande»). Morirono 12 persone. Una strage terribile in cui perse la vita anche il direttore della testata Stéphane Charbonnier (Charb). Il periodico rimase chiuso per un mese schiacciato dal dolore e dallo choc e tornò in edicola il 23 febbraio.

La scelta di commemorare ora il lutto con un Dio assassino e sanguinante ha suscitato in Francia, più che una vivace protesta, una diffusa tristezza nella consapevolezza di aver perso una occasione preziosa per costruire ponti anziché incendiare gli animi favorendo una satira violenta. La Conferenza episcopale francese ha scelto di non commentare la decisione e di esprimersi con un tweet di poche righe ma dai toni fermi. «La Conferenza episcopale francese non commenta chi cerca solo di provocare. È il genere di polemiche di cui la Francia ha bisogno?», si legge.

Raggiunto telefonicamente dal Sir, il vescovo Stanislas Lalanne che per anni è stato portavoce dei vescovi francesi, spiega la linea adottata. «Il silenzio – dice – è la migliore risposta a una provocazione inutile, violenta e pericolosa». Televisioni, radio e giornali nazionali gli hanno chiesto di reagire alla copertina di Charlie «ma mi sono rifiutato di rispondere» perché, spiega, «Charlie Hebdo non cerca altro che qualcuno reagisca».

Molto apprezzato dai vescovi francesi è l’«edito» de La Croix a firma del direttore Guillaume Goubert: «Non è Dio ad uccidere, sono gli uomini. Ma Dio ha bisogno degli uomini per fare il bene. Molti lo fanno» e «molti sono coloro che giorno dopo giorno trovano nella loro fede non un carburante all’odio ma l’energia e il coraggio del perdono. Dio sa quanto il mondo ha bisogno di loro».

Sulla vicenda scendono in campo anche i musulmani, sebbene questa volta la raffigurazione satirica prende di mira il mondo cristiano. L’imam M. Azzedine Gaci, rettore della Moschea Othman à Villeurbanne (Lione), parla di «provocazioni inutili che creano solo del male». Gaci è un grande protagonista del dialogo islamo-cristiano in Francia e ha fatto parte di una delegazione musulmana francese che  proprio all’indomani degli attentati di Parigi in gennaio ha incontrato Papa Francesco a Roma. «Avrei preferito – dice l’imam – che un anno dopo i terribili attentati che hanno causato morti, molti morti, si fosse data prova di maggiore prudenza, facendo attenzione a quello che si dice, mettendosi in discussione anche sulla libertà di espressione, che è fondamentale certo, ma che non può mettersi contro la vita, diffondere pericolo. Avrei preferito che ci si fosse astenuti dal provocare ancora di più e dal suscitare la stigmatizzazione. «È un credente che parla ma credo che abbiamo bisogno tutti di politici, intellettuali, media che richiamino alla pace, che contribuiscano alla costruzione del vivere insieme». E l’imam Anour Kbibech, neo presidente del Consiglio del culto musulmano in Francia, dalle pagine del quotidiano Le Parisien confessa di sentirsi «ferito» dalla pagina di Charlie: «Abbiamo bisogno di segni di distensione. Chiaramente questa caricatura non aiuta, in un momento in cui abbiamo bisogno di ritrovarci fianco a fianco».