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Consiglio europeo: migranti, decisioni rinviate. Difficile il rapporto con la Turchia di Davutoglu e Erdogan

«Il Consiglio europeo ritornerà sul fascicolo della migrazione in tutti i suoi aspetti in occasione del Consiglio europeo di marzo per consolidare ulteriormente l’attuazione congiunta europea della nostra strategia globale in materia di migrazione»: sono le parole conclusive della «Dichiarazione finale» – diffusa nella notte – del summit svoltosi ieri nella capitale belga.

I 28 capi di Stato e di governo Ue hanno incontrato il premier turco Ahmet Davutoglu per poi riunirsi e fare, per l’ennesima volta, il punto sull’emergenza-profughi che preme sull’Ue. Il rimando di ogni decisione al prossimo vertice del 17-18 marzo la dice lunga sulla posta in gioco, sulle divisioni interne all’Unione, sulle difficoltà di accogliere le richieste (qualcuno ha detto esplicitamente «i ricatti») di Ankara. Il governo turco chiede più soldi (6 miliardi anziché i 3 già promessi dall’Unione) per tenere entro i propri confini i profughi che arrivano dalla Siria; pretende inoltre l’accelerazione dei negoziati per l’adesione alla «casa comune» e la liberalizzazione dei visti entro giugno. Ma di Ankara pochi governi si fidano: e le ultime repressioni alla libertà di stampa confermano i timori europei.

Nella Dichiarazione finale si legge che «la Turchia ha confermato il suo impegno ad attuare l’accordo bilaterale greco-turco in materia di riammissione al fine di accettare il rapido ritorno di tutti i migranti non bisognosi di protezione internazionale che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alla Grecia e di riaccogliere tutti i migranti irregolari fermati nelle acque turche». Si ribadisce, nel complesso, l’impegno a smantellare il traffico di esseri umani e di «proteggere le nostre frontiere esterne». Non mancano passaggi spigolosi nel testo: «Dobbiamo spezzare il legame che esiste tra la traversata in mare e l’insediamento in Europa».

I 28 apprezzano e appoggiano «l’attività della Nato nel mar Egeo», diventata operativa proprio ieri. Quindi l’elenco dei «principi» condivisi attorno ai quali cominciare a lavorare: far rientrare, a spese dell’Ue, tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche; far sì che, per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell’Ue; accelerare la liberalizzazione dei visti turchi e «l’erogazione, entro la fine di marzo, dei 3 miliardi di euro inizialmente stanziati e prendere una decisione in merito a un ulteriore finanziamento destinato allo strumento per i rifugiati siriani»; collaborare con la Turchia «in eventuali sforzi comuni volti a migliorare le condizioni umanitarie all’interno della Siria in modo da consentire alla popolazione locale e ai rifugiati di vivere in zone più sicure».

Al summit si è inoltre discusso – e lo conferma la Dichiarazione finale – del ripristino degli accordi di Schengen per la libera circolazione, del sostegno ad ampio raggio alla Grecia per far fronte all’emergenza dei rifugiati e per il controllo delle frontiere esterne. Inoltre si insiste sul rimpatrio dei «migranti irregolari», ossia le persone che fuggono dal loro Paese non a causa della guerra ma per fame e povertà e, per questo, non «meritevoli» di protezione internazionale. Al termine del summit, come spesso accade, prima di ripartire ogni leader rilascia dichiarazioni che sembrano contraddire quanto sentito al summit e quanto messo nero su bianco nelle dichiarazioni finali.