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Crisi siriana e irachena: Dicastero Sviluppo umano, 286 milioni di dollari raccolti nel 2017

Sono oltre 286 milioni i dollari allocati nel 2017 dalla rete ecclesiale, composta da Ong cattoliche, diocesi, congregazioni religiose, istituzioni ecclesiali, per fare fronte alla crisi umanitaria in Siria e Iraq. È quanto emerge da una indagine presentata nella riunione sulla «Crisi umanitaria in Siria e Iraq» organizzata dal Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, che si è aperta oggi (fino a domani) presso l'Università Urbaniana, a Roma.

L’indagine, alla sua terza edizione, copre 7 Paesi – Siria, Iraq, Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Cipro – e presenta dati relativi alla risposta alla crisi umanitaria delle istituzioni ecclesiali negli anni 2017-2018. I dati raccolti sono stati forniti da 84 istituzioni ecclesiali: 53 agenzie caritative d’ispirazione cattolica, 10 diocesi di Siria e Iraq e 21 istituti religiosi operanti in Siria, Iraq, Libano e Giordania.

Obiettivo principale dell’indagine, diffusa dal Dicastero, è ottenere un quadro complessivo unitario della risposta della rete ecclesiale alla crisi umanitaria siriana e irachena e di identificare linee comuni di riflessione e orientamenti condivisi di azione per il prossimo futuro.

Secondo le informazioni raccolte, la rete ecclesiale nel 2017 ha allocato più di 286 milioni di dollari per la risposta alla crisi nei 7 Paesi e raggiunto all’incirca 4,6 milioni di beneficiari. Il dato, si legge nel testo, «è particolarmente significativo perché è il più elevato dal 2014 e testimonia come l’impegno della Chiesa non solo sia rimasto costante, ma si sia consolidato e rafforzato negli anni, adattandosi ai cambiamenti contestuali».

L’indagine evidenzia che, «nel 2017, il 35% dei fondi (circa 100 milioni di dollari) è stato destinato alla Siria, il 30% al Libano, il 17% all’Iraq e il 9% alla Giordania. Nell’anno 2017 i settori d’intervento prioritari sono: istruzione, con più di 73 milioni di dollari, di cui 45 milioni allocati in Libano; aiuto alimentare, con più di 54 milioni di dollari, fortemente influenzato dalle azioni in Siria, cui è stato destinato l’83% dei fondi di tale settore; sanità, con circa 30 milioni di dollari (11% dei fondi totali allocati), di cui il 38% destinato alla Siria».

Sono evidenti, inoltre, «alcuni primi segnali di nuovi orientamenti: percentuali significative dell’aiuto, infatti, sono allocate alle azioni di livelihood, tutte quelle le attività atte a fornire e rafforzare mezzi di sussistenza alle famiglie, attività generatrici di reddito, formazione professionale, creazione di opportunità lavorative, al sostegno per gli affitti e la riabilitazione delle case -soprattutto in Iraq – e al supporto psicosociale e alla protezione legale, in particolare in Libano. L’indagine presenta anche i dati del 2018, aggiornati al mese di luglio, che mostrano una diminuzione progressiva della «risposta di tipo puramente emergenziale e un rafforzamento del lavoro su programmi di resilienza e early recovery, con uno sguardo ad azioni di maggiore impatto nel medio-lungo termine».

In Siria, si legge nell’indagine, «vi sono ancora zone dove gli aiuti di prima necessità restano prioritari, ma in altre zone del Paese, così come nel nord dell’Iraq e nei Paesi limitrofi, l’attenzione si rivolge a come dare alle famiglie maggiore stabilità per ricostruirsi un futuro. In Iraq diventa centrale il fenomeno dei ritorni volontari nella piana di Ninive, dove si concentrano gli aiuti della Chiesa nel Paese». Secondo le informazioni raccolte, nel 2018 la rete ecclesiale ha mobilitato circa 230 milioni di dollari e raggiunto 3,9 milioni di beneficiari. Sebbene il dato sia inferiore a quello del 2017, va valutato come «particolarmente significativo perché è un dato di previsione aggiornato al luglio 2018, che tuttavia già dimostra una tenuta dell’impegno della rete ecclesiale a fronte di una crisi prolungata».

La Siria resta il Paese in cui sono allocate il maggior numero di risorse (31%), ma con una distribuzione più omogenea rispetto al passato tra i vari Paesi: il 25% dei fondi è destinato al Libano, il 22% all’Iraq e il 15% in Giordania. Va tuttavia rilevato come, rispetto al 2017, diminuiscano in valore assoluto i fondi destinati a Siria e Libano, restino pressoché stabili quelli allocati in Iraq e aumentino quelli destinati alla Giordania. Complessivamente dal 2014 la rete ecclesiale ha mobilitato più di 1 miliardo di dollari per la risposta alla crisi, attingendo a fonti di finanziamento pubbliche (fondi governativi e delle istituzioni internazionali) e private (donazioni, fondazioni, fondi della Chiesa cattolica).

«Istruzione, sanità, supporto psicosociale»: sono queste le priorità d’intervento sottolineate dall’indagine. «La sfida maggiore – si legge nel testo – è rappresentata oggi dalla risposta a un sempre maggiore bisogno di stabilità per il futuro delle famiglie, attraverso programmi di sviluppo agricolo-economico, di rilancio del tessuto sociale ed economico, di formazione professionale, di avvio di attività lavorative»: Altro impegno importante è «il rafforzamento di capacità degli attori locali è un impegno importante della rete ecclesiale, che si è ampliato e consolidato negli anni. Esso resta un aspetto essenziale anche per il futuro, soprattutto in un momento in cui competenze e sistemi di gestione sul terreno sono chiamati ad adeguarsi ai cambiamenti in atto».

Riguardo all’aiuto ai rifugiati nei Paesi limitrofi alla Siria, «è necessario prestare un’attenzione crescente alle comunità di accoglienza. Non possono essere sottovalutate le crescenti tensioni intercomunitarie ed è quanto mai importante continuare a lavorare sulla coesione sociale, su un accesso equo ai servizi pubblici, un sostegno alle persone più vulnerabili delle comunità ospitanti, un supporto adeguato alle infrastrutture dei paesi di accoglienza, in particolare nei settori sanitario ed educativo». Uno dei temi centrali della risposta alla crisi e uno degli «ambiti prioritari» su cui si focalizzerà l’azione della Chiesa nei prossimi anni è il ritorno nelle comunità di origine». Il fenomeno riguarda prevalentemente l’Iraq e la piana di Ninive (dove la maggior parte di coloro che fanno ritorno sono famiglie cristiane), mentre è più limitato in Siria.

Uno degli orientamenti emersi nell’indagine è quello relativo «ai primi interventi di ricostruzione di strutture scolastiche, sanitarie e di siti religiosi. Importante in questo ambito è anche il lavoro di sensibilizzazione affinché siano garantite le condizioni di sicurezza e dignità per un ritorno nelle comunità di origine». L’attenzione specifica ai bisogni delle comunità cristiane e al loro futuro nella regione mediorientale, così come ai loro bisogni materiali, spirituali e pastorali, costituisce, ribadisce l’indagine, «un elemento peculiare per la Chiesa, sia a livello di azioni in loco che di sensibilizzazione a livello locale e internazionale». Altri settori di intervento restano quelli della protezione legale, l’accompagnamento dei rifugiati nelle procedure giuridico-amministrative, la tutela dei minori non accompagnati.