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DIRITTI UMANI: AMNESTY, RAPPORTO 2003, IN IRAQ E AFGHANISTAN ANCORA TANTE DIFFICOLTÀ

“In ogni parte del mondo la gente è più insicura oggi di quanto lo si mai stata dalla fine della guerra fredda”: è l’avvertimento lanciato oggi da Amnesty international durante la presentazione a Roma del Rapporto annuale 2003, che elenca Paese per paese tutte le violazioni dei diritti umani avvenute lo scorso anno. Secondo Amnesty, “la ‘guerra al terrore’, lungi dall’aver reso il mondo un posto più sicuro, lo ha trasformato in un ambiente più pericoloso limitando i diritti umani, indebolendo il primato del diritto internazionale e sottraendo l’operato dei governi al controllo dell’opinione pubblica. Essa ha acuito le divisioni tra popoli di diverse fedi e origini, seminando il terreno per nuovi conflitti. La conseguenza generale di tutto questo è la paura, tra i ricchi e tra i poveri”.

Nella conferenza stampa è stato illustrato un lungo elenco di conflitti dimenticati e di situazioni drammatiche: a Cuba, dove sono ricominciati i processi sommari e le detenzioni contro i dissidenti; in Colombia, con 500 persone scomparse, 4000 omicidi a sfondo politico e un sindacalista viene ucciso ogni due giorni; in Guatemala, dove si sta verificando un’ondata crescente di intimidazioni, ostilità e violenze contro gli indigeni maya; in Russia, con l’intensificazione delle azioni militari in Cecenia, 19.000 minorenni rinchiusi nelle carceri e 14.000 donne assassinate ogni anno per violenza domestica; in Bielorussia, unico Paese europeo dove vige ancora la pena di morte, con sparizioni, lavori forzati e condanne capitali; in Zimbabwe con i giornalisti ridotti al silenzio e l’aumento di arresti arbitrari, detenzioni e torture nei confronti dei difensori dei diritti umani; in Tunisia, dove aumentano le repressioni contro l’uso di Internet ma anche contro avvocati e sindacalisti; in Congo – dove in 6 anni sono morte 3 milioni di persone – con decine di condanne a morte eseguite e uccisioni di civili; in Medio Oriente, con gli abusi commessi dall’esercito israeliano e le centinaia di persone arrestate da parte dell’autorità palestine perché sospettate di “collaborazionismo”. Di positivo, oltre alla pace ritrovata in Sierra Leone e Sri Lanka, segnali di lotta all’impunità in Uruguay, Cile, Argentina e Perù, l’entrata in vigore della Corte penale internazionale, vi è stata l’abolizione in 76 Paesi della pena di morte per tutti i reati.

Da Amnesty international è arrivato anche un avvertimento forte sulle tante difficoltà e sul protrarsi di violazioni dei diritti umani in Iraq e in Afghanistan, nonostante la fine delle ostilità. “Cinquanta giorni fa cadeva l’ultima bomba sull’Iraq – ha detto Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di Amnesty -. Ma oggi l’Iraq è ancora nel caos e nel disordine. I diritti umani non sono apparsi magicamente”. Bertotto ha parlato del ritrovamento di fosse comuni con migliaia di vittime della repressione di Saddam Hussein, e durante la guerra, di attacchi indiscriminati contro civili e dell’uso di armi come le bombe a grappolo da parte degli alleati, oltre all’attuale rifiuto, da parte delle “forze occupanti”, di avere sul territorio degli osservatori per i diritti umani. “Le forze incaricate di riportare la libertà sono più impegnate a difendere i pozzi di petrolio e a fare affari – ha affermato Bertotto – che a garantire la sicurezza, le leggi e l’ordine tra la popolazione”. Anche il trattamento dei prigionieri di guerra, ha aggiunto, “assomiglia ad una piccola Guantanamo in Iraq”.

Mentre in Afghanistan, che “oramai è entrato a far parte dei conflitti dimenticati – ha osservato Luca Lo Presti, responsabile per l’Asia della sezione italiana di Amnesty – la situazione è ancora difficile: la condizione femminile è un po’ migliorata perché Karzai ha eliminato le leggi scritte che definivano la donna come ‘inesistente’ ma in maggioranza se le donne non portano il burka vengono minacciate, alcune addirittura sfigurate in viso con l’acido. Molte vanno in carcere perché accusate di atti immorali. E le prigioni sono un vero inferno: i detenuti vivono in condizioni totalmente disumane”. In più, ha aggiunto, “per le strade di Kabul girano macchine con i vetri oscurati e senza targa, con personaggi misteriosi all’interno che fanno chissà quali disegni, al riparo da tutte le leggi”. Per questo Amnesty chiede che “le forze internazionali presenti sul territorio facciano il loro dovere per la sicurezza della popolazione”.

Sir