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Etiopia-Eritrea: dichiarazione congiunta, guerra finita, cooperiamo

All'indomani della visita ad Asmara del primo ministro Abiy Ahmed, Etiopia ed Eritrea dichiarano conclusa la guerra e iniziata una nuova era di pa ce e amicizia. Il commento di don Zerai: «grande gioia ma i passi da fare sono molti».

Etiopia ed Eritrea non sono più in guerra: lo affermano i governi di Addis Abeba e Asmara in una dichiarazione congiunta diffusa oggi. Nel testo, rilanciato dal ministro dell’Informazione eritreo Yamane Meskel, si riferisce dell’inizio di «una nuova era di pace e amicizia». Nella dichiarazione, in riferimento alla fine dei 20 anni di conflitto e interruzione delle relazioni diplomatiche, si aggiunge: «Entrambi i Paesi lavoreranno per promuovere una stretta cooperazione politica, economica, sociale e culturale». Etiopia ed Eritrea sono rimaste formalmente in uno stato di guerra sin dal conflitto frontaliero combattuto tra il 1998 e il 2000. La dichiarazione è stata diffusa all’indomani di una visita ad Asmara, senza precedenti, del primo ministro etiopico Abiy Ahmed.

«Le immagini della folla festante per le strade di Asmara sono il segno più evidente della sete di pace del popolo eritreo, del desiderio della gente di mettere fine a questa situazione di tensione, un clima fatto di non guerra e non pace, che ha diviso due popoli tra loro vicini e fratelli». Commenta così al Sir don Mussie Zerai, sacerdote eritreo fondatore e presidente dell’ong Habeshia, la visita di ieri del primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ad Asmara, capitale dell’Eritrea, con lo storico abbraccio con il presidente Isaias Afwerki, prima riunione tra leader dei due Paesi in 20 anni.  La visita segue di alcuni giorni un’analoga missione di una delegazione eritrea ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia.

«La visita del primo ministro etiope – dice Zerai – è sicuramente un fatto positivo, ma il lavoro da fare è lungo perché ci sono molte ferite e sofferenze da curare. La gioia vista ieri mi ricorda quella per l’indipendenza, ma la storia ci ha insegnato ad essere prudenti, a verificare i fatti compiuti e a non avere fretta». Proprio la guerra scoppiata al confine tra i due Paesi, tra il 1998 e il 2000, era stata all’origine di un irrigidimento dello stesso governo di Asmara. «A causa di questa situazione di non guerra e non pace – continua il sacerdote, lui stesso fuggito dal Paese e accolto come rifugiato in Italia – si è instaurata in Eritrea una dittatura con posizioni rigide, liberà fondamentali sospese. La speranza è che questa nuova stagione inneschi un cambiamento politico interno che restituisca libertà, diritti, e dignità al popolo eritreo. Ma per questo servirà un lungo lavoro di riconciliazione».

Il pensiero di don Zerai, da anni impegnato nell’accoglienza dei suoi connazionali arrivati in Europa, va anche a quanti sono fuggiti dall’Eritrea negli ultimi anni. «In tanti – conclude Zerai – sperano che, dopo la pace, ci sia un’amnistia, anche per chi è considerato disertore a causa della fuga dal Paese per motivi politici, etnici e religiosi. Serve una riconciliazione nazionale che possa permettere a tutti di tornare, visitare la propria famiglia e contribuire alla crescita del Paese. È questa la speranza e la preghiera di molti eritrei in diaspora».